giovedì 7 ottobre 2021
Venerdì in Israele l’udienza, si cerca un difficile accordo tra le famiglie. L’avvocato Gonnelli: «Più passa il tempo, più le speranze di riportare il bimbo in Italia diminuiscono»
In Israele venerdì l’udienza, si cerca un difficile accordo tra le famiglie. L’avvocato Gonnelli: «Più passa il tempo, più le speranze di riportare il bimbo in Italia diminuiscono». La legge 64 e i tempi lunghi della nostra giustizia Groviglio giuridico. Da una parte i silenzi della Convenzione dell’Aja, dall’altra la normativa che la applica in modo spesso discriminatorio per i genitori italiani

In Israele venerdì l’udienza, si cerca un difficile accordo tra le famiglie. L’avvocato Gonnelli: «Più passa il tempo, più le speranze di riportare il bimbo in Italia diminuiscono». La legge 64 e i tempi lunghi della nostra giustizia Groviglio giuridico. Da una parte i silenzi della Convenzione dell’Aja, dall’altra la normativa che la applica in modo spesso discriminatorio per i genitori italiani - Ansa

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Tornerà in Italia il piccolo Eitan? Venerdì a Tel Aviv l’udienza che potrebbe essere decisiva per accordo tra le famiglie. In ogni caso ottobre sarà il mese decisivo per capire come, in questa situazione, si possa applicare la legge 64 del 1994 che ha recepito la Convenzione dell’Aja. Ma come l’ha recepita? Secondo gli esperti, la nostra legge da un lato appare troppo garantista verso i genitori stranieri autori della sottrazione, dall’altra troppo penalizzante verso per madri e padri italiani. C’è il rischio che anche Eitan finisca vittima di questo grande equivoco?

Lo teme l’avvocato Irene Margherita Gonnelli, di Dpd società tra avvocati con sede in Siena, che da anni si occupa di sottrazione di minori. Tra tante incertezze, c’è un punto indiscutibile: «Più passa il tempo, più le possibilità di riportare Eitan in Italia si allontanano». Se si dovesse decidere in punto di diritto, la questione non si porrebbe neppure. Eitan è cittadino italiano, la sua residenza abituale è l’Italia, il giudice italiano ha già deciso per l’affidamento provvisorio alla zia paterna Aya che risiede in Italia. Il giudice israeliano non do- vrebbe avere altra scelta: rimpatrio immediato. Dovrebbe. Perché quello che capita frequentemente ad altre centinaia di bambini sottratti ogni anno dal nostro Paese di cui non si parla quasi mai, va purtroppo in un’altra direzione. Innanzi tutto ci sono problemi interpretativi della Convenzione dell’Aja che suggerisce al giudice chiamato a decidere sull’eventuale rimpatrio di valutare se esistono elementi pregiudizievoli per il minore nel caso di rientro. I dubbi sollevati dal nonno di Eitan sul funzionamento della giustizia in Italia e l’iscrizione del piccolo a una scuola di ispirazione cattolica – scelta contestata dalla famiglia materna – potrebbero essere punti a favore della richiesta di lasciarlo in Israele?

La discrezionalità offerta dall’articolo 13 della Convenzione è amplissima. Il giudice può opporsi alla richiesta di rientro se considera «fondato il rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, a pericoli fisici e psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile». O ancora, se accerta «che il minore si oppone al ritorno». Ma come valutare qual è l’opinione di un bambino di sei anni? L’accordo raggiunto nei giorni scorsi in Israele secondo cui il piccolo, fino all’udienza di venerdì, ha trascorso tre giorni con una famiglia e per tre con l’altra, non mette al riparo da decisioni che potrebbero far slittare ulteriormente i tempi. Il giudice, applicando il dettato dell’articolo 13 della Convenzione, potrebbe voler accertare la volontà del piccolo con una perizia, incaricando i servizi sociali israeliani. E passerebbero altre settimane, se non mesi. «La Convenzione parla chiaro. Il contenzioso – osserva ancora l’avvocato Gonnelli – deve concludersi in sei settimane. A seguito della decisione di primo grado, generalmente si arriva a un secondo grado di giudizio. Ma in Italia questo non succede, la legge 94 non lo prevede. Dopo il primo grado, in Italia si può solamente ricorrere in Cassazione».

In tanti Paesi europei, tra cui Francia e Germania, la decisione del primo grado non è subito esecutiva. Il bambino rimane nel Paese in cui è stato portato fino alla sentenza successiva. Su questo punto la Convenzione non si esprime. Ma in Italia, in attesa del giudizio della Cassazione, il minore viene subito restituito al Paese che lo reclama. E di fatto tutto finisce lì. Perché poi la Cassazione non valuta nel merito e, com’è noto, la sentenza arriva dopo anni. Quei piccoli intanto, nella maggior parte dei casi, diventano maggiorenni lontano dal nostro Paese. «Spesso siamo di fronte a una autentica discriminazione delle famiglie italiane operata dalle nostre stesse leggi. I ritardi della nostra giustizia, sommati all’assenza di un secondo grado di giudizio e all’immediata esecutività del decreto di rimpatrio in primo grado, sono tali per cui – sottolinea l’esperta – l’ordinamento italiano finisce nei fatti per penalizzare i propri cittadini, cosa che non accade negli ordinamenti stranieri». Ma c’è un’altra possibilità prevista della Convenzione che i nostri giudici troppo spesso ignorano. È quello relativa all’articolo 15 secondo cui il giudice può richiedere al tribunale del Paese a cui il bambino è stato sottratto un provvedimento in cui si valuta la liceità della sottrazione. In Germania questo provvedimento viene emanato dai tribunali in 48 ore, senza contraddittorio e senza altre formalità. In Italia i tribunali si palleggiano le competenze.

Tocca al tribunale minorile o quello ordinario? Occorre attendere che il giudice straniero chieda questo atto o si può agire autonomamente? La Convenzione anche su questo punto non si pronuncia e i tribunali italiani prendono tempo. «Quello di un minore sottratto è un caso urgente ma, nella migliore delle ipotesi, da noi passano mesi per ottenere questo tipo di provvedimento». Altro aspetto drammatico quello delle spese legali. E anche in questo caso la Convenzione dell’Aja non impone nulla. L’Italia prevede il gratuito patrocinio, indipendentemente dal reddito, per i cittadini stranieri che chiedano all’Italia un rimpatrio di minore, mentre i genitori italiani, se devono affrontare un contenzioso all’estero, hanno l’obbligo di versare decine di migliaia di euro. Nella maggior parte dei Paesi la valutazione su questo aspetto non è ispirata rigidamente a criteri fiscali (basso reddito) ma anche di fondatezza, e questo concede ai giudici ampi margini di discrezionalità. «Purtroppo non si comprende che ogni sconfitta non si ripercuote solo sulle famiglie, con contraccolpi psicologici pesantissimi e costi altissimi, ma – conclude l’avvocato Gonnelli – sul nostro sistema di protezione dei minori con un danno d’immagine enorme». Sempre in attesa di una riforma della legge del 1994, considerata ormai inadeguata, che però non arriva mai. E i bambini attendono. Invano.

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