mercoledì 22 marzo 2023
Indagine dell'Istituto superiore di sanità sui Centri per demenze: solo 5 professionisti, in media, per ognuna delle oltre 500 strutture sparse in Italia. Un quarto è aperto un giorno a settimana
È emergenza salute mentale: «Mancano medici nei centri»

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Anche se la pandemia ha accentuato la domanda di interventi psicosociali, e mentre le patologie neurodegenerative aumentano di pari passo con l’invecchiamento della popolazione, la risposta dei circa 500 Centri per i disturbi cognitivi e le demenze (Cdcd) sparsi sul territorio nazionale, dove lavorano in media 5 operatori, continua a non essere adeguata. Si riscontrano «criticità» sia per il numero complessivo di medici specialisti (psichiatri, neurologi e geriatri i più richiesti), sia per la scarsità di altri professionisti sanitari. Inoltre, il 25,4% dei Cdcd è aperto solo un giorno a settimana.

È quanto emerge dall'indagine condotta dall'Osservatorio Demenze dell'Istituto superiore di sanità (Iss) tra luglio 2022 e febbraio 2023, i cui risultati fanno riferimento alle attività del 2019. Nel report viene evidenziato che un quarto dei Cdcd è aperto solo un giorno a settimana. Tra quelli aperti 5 giorni a settimana, la maggioranza (43,5%) è dislocato al Nord, il 27,5% al Centro e il 24,6% al Sud. Un terzo circa di questi Centri - fa sapere l’Iss - è diretto da un neurologo, un altro terzo da un geriatra e in poco meno di un altro terzo operano almeno due delle tre figure mediche fondamentali (neurologo, geriatra, psichiatra), mentre nel 5% dei casi a coordinare è lo psichiatra. Nell’organico delle strutture, scarseggiano pure infermieri, fisioterapisti, logopedisti e mediatori culturali.

In piena pandemia, nel 2020, viene evidenziato nell’indagine, il 63,2% dei Ccdc «è rimasto parzialmente chiuso», di questi circa il 44% per più di tre mesi. Questo dato si è ridotto, nel 2021, al 18,4%, con una percentuale di chiusura superiore a tre mesi pari a circa il 40%. Aspetti, dice Nicola Vanacore, direttore dell’Osservatorio Demenze dell’Iss, «che fotografano le criticità dell'offerta sanitaria per i Cdcd. In una logica di sanità pubblica, è fondamentale poter disporre nei Cdcd, che rappresentano un nodo cruciale per la diagnosi e la presa in carico delle persone con demenza, di un maggior numero di professionisti e di personale con diversi profili, al fine di poter valorizzare sempre più un lavoro di équipe interprofessionale e di renderlo disponibile e capillare in tutto il territorio nazionale». I risultati dello studio, aggiunge Vanacore, «sono molto importanti poiché parliamo di un problema che coinvolge in Italia circa due milioni di persone con disturbo cognitivo lieve o demenza e circa tre milioni di italiani, tra familiari e caregiver, che vivono con loro».

All'indagine hanno partecipato 512 Cdcd su 540 (95%). L'80,9% di questi Centri è presente sul territorio nazionale con sedi uniche mentre il 19,1% ha dei distaccamenti territoriali per un totale complessivo di ulteriori 163 strutture. I centri sono localizzati per il 9,2% nelle università o negli Irccs (Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico), per il 44,1% nel territorio e per il 46,7% negli ospedali. I professionisti che vi lavorano sono complessivamente 2.568, di cui il 14% non strutturato. «Nel 29,9% dei Centri - si legge nella relazione dell’Istituto superiore di sanità - opera almeno un neuropsicologo e nel 26,6% almeno uno psicologo. Nel 58,8% dei Cdcd è impegnato almeno un infermiere, nel 16,2% un assistente sociale, un amministrativo (8,9%), un logopedista (8,4%), un fisioterapista (6,4%), un genetista (1,6%), un terapista occupazionale (1,1%), un mediatore culturale (1,1%) e un interprete linguistico (1,1%)». Numeri che non consentono di tenere testa ad una domanda di servizi sempre più accentuata.

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