martedì 16 gennaio 2024
Il giudice Russo: la rigenerazione etica del territorio passa da una colossale operazione di verità. Il vescovo Giurdanella: a Campobello il nostro Cantiere della legalità
La cattura di Matteo Messina Denaro

La cattura di Matteo Messina Denaro - ANSA

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Dopo 30 anni di latitanza, Matteo Messina Denaro fu arrestato dai carabinieri la mattina del 16 gennaio 2023, nella clinica La Maddalena di Palermo, dove si sottoponeva alla chemioterapia per un tumore al colon, sotto il falso nome di Andrea Bonafede. Scoperta la malattia intercettando la sorella, gli investigatori avevano setacciato un’enorme mole di dati e individuato dove Messina Denaro si recava per curarsi.

Chissà cosa potrà raccontare un giorno la storia giudiziaria su Matteo Messina Denaro, arrestato 12 mesi fa, dopo 30 anni di latitanza. Nel primo anniversario della cattura, l’inchiesta è tutt’altro che chiusa. Si fanno i conti con un territorio che vive tra paura, rassegnazione e voglia di riscatto. A partire da Castelvetrano (città natale del boss) e Campobello di Mazara (dove ha vissuto gli ultimi anni di latitanza), le città simbolo della “primula rossa” che davanti ai giudici, nel suo unico interrogatorio, disse di non avere una residenza: «Il Comune mi ha cancellato anni addietro».

L’arresto del boss ha segnato una linea di demarcazione tra il prima e il dopo, almeno per il peso della cappa mafiosa. «Con la sua cattura è caduto l’alibi della paura: chi ha visto, chi ha sentito e soprattutto chi ha capito, non abbia remore, si faccia avanti e racconti quello che sa», è l’appello del magistrato Massimo Russo che per 10 anni si è occupato di mafia trapanese. «La rigenerazione etica e sociale di questo territorio passa da una colossale operazione di verità alla quale nessuno può sottrarsi, per rischiarare le troppe zone d'ombra nelle quali il latitante ha potuto impunemente vivere, relazionarsi e coltivare i suoi interessi criminali», aggiunge Russo.

L’ultimo covo del boss, in vicolo San Vito, un appartamento che gli mise a disposizione Andrea Bonafede, che gli ha anche prestato l’identità. «Sapeva a chi rivolgersi – dice Russo – ma non è affatto vero che l'intero paese sapesse, come qualcuno azzarda criminalizzando le tante persone per bene, la maggior parte, che si aspettavano maggiore efficienza da parte di chi ha il dovere del controllo del territorio».

A 365 giorni dall’arresto, oggi nell’unico cineteatro del paese, gli studenti delle medie e dell’Istituto geometri discuteranno di mafia e antimafia con Nicola Mannino dell’associazione “Parlamento della legalità internazionale”. Un’iniziativa «che serve per non dimenticare ma soprattutto per acquisire la consapevolezza che, per sconfiggere la mafia, serve uno sforzo di tutti, ma principalmente dai ragazzi».

Nessuna rievocazione, invece, nella città natale del boss.

A Castelvetrano il Comune ha deciso così: «Non intendiamo rievocare un personaggio che tanto male ha fatto a questo territorio, ma investire in percorsi culturali di rinascita», commenta il sindaco Enzo Alfano. Solo nel liceo cittadino andrà in scena “Cuntrasto siciliano contro lu scurdusu”, un testo scritto da Giacomo Bonagiuso e Giacomo Di Girolamo che mette a confronto il boss con Peppino Impastato. Una provocazione in una terra dove, come germogli, si registrano segni di speranza.

Come la nascita della cooperativa “Sicily food, Belìce valley”, con 30 agricoltori che si sono ribellati al sistema di commercializzazione delle olive da mensa: «Il mercato è manipolato sia per l'imposizione dei prezzi dei commercianti sia per i pagamenti super dilazionati che arrivano anche a 12 mesi», spiega la presidente Valentina Blunda. Gli agricoltori, senza volerlo, vivono condizioni di sudditanza rispetto ai grossi commercianti. «La cooperativa nasce per volontà di chi ha deciso di rischiare per dare il giusto valore al proprio prodotto – osserva ancora Blunda –. Ci vogliamo muovere su un terreno di parità, non di sottomissione».

La Chiesa fa la sua parte: «Nel solco del cammino sinodale, abbiamo avviato da un anno il Cantiere per la legalità che, non a caso, abbiamo voluto aprire a Campobello di Mazara, per dare un segnale preciso – evidenzia il vescovo di Mazara del Vallo, Angelo Giurdanella –. Bisogna alimentare quell’humus necessario contro ogni forma di criminalità, corruzione, per ridare speranza nel partorire virtù civiche, impegno nella legalità e solidarietà che servono non solo per arginare ma per creare una radicale alternativa al sistema mafioso». Il vescovo conclude: «Dobbiamo liberarci dai poteri occulti, dai diritti solo individuali che alla fine non sono null’altro che potere di spadroneggiare sugli altri. L’altro è persona da incontrare, ascoltare, servire, senza esclusione e senza eccezioni o preferenze».

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