venerdì 30 agosto 2019
Dai 3 anni, quando la più piccola ha mostrato i sintomi della sindrome di Rett, le due più grandi – 14 e 17 anni – si sono fatte carico del suo percorso di cura
Marta e Giulia Buson, che oggi hanno 39 e 22 anni

Marta e Giulia Buson, che oggi hanno 39 e 22 anni

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Fino a tre anni Giulia è stata una bambina normale, poi è diventata una “bimba dagli occhi belli”, come viene chiamata chi soffre della sindrome di Rett. Una malattia neurologica dello sviluppo che colpisce quasi sempre le femmine rendendole capaci di comunicare soltanto con gli sguardi. Da allora le sorelle della piccola Giulia, Marta e Valentina Buson, che avevano 17 e 14 anni, si sono dovute occupare di lei nelle ore in cui i loro genitori lavoravano. Una cura attenta e scrupolosa, piena di responsabilità quotidiane ma anche di amore. La pulivano, le davano da mangiare, le leggevano le favole.

La sindrome, congenita e di carattere regressivo, comporta una perdita graduale dell’uso delle mani e della parola, è un disturbo del sistema nervoso centrale che si manifesta attraverso diversi stadi portando a un deficit cognitivo senza ritorno. Prende il nome dal medico austriaco, Andreas Rett, che per primo l’ha studiata e descritta. «Anche se Giulia per fortuna non ha una forma molto grave della malattia – spiega Marta, oggi 39enne – abbiamo dovuto impegnarci».

La storia delle tre sorelle non è fatta, però, solo di dolore e fatica fisica. E nemmeno di disperazione. Nel loro rapporto è entrata la gioia della fede. Anche quando sono diventate adulte e le due sorelle maggiori si sono sposate. La famiglia Buson vive a Baone, nel Padovano. Rosanna Trevisan, mamma delle ex bimbe – oggi giovani donne (Giulia ha 22 anni) – è la referente per il Veneto di Airett (Associazione italiana sindrome di Rett).

«Posso dire con certezza – afferma Marta – che la nostra sorella più piccola ha cambiato, e in meglio, la vita di tutti noi: papà ha riscoperto la fede, mio marito attraverso la sua presenza si è convertito. Nella disgrazia della malattia, Giulia è stata un dono, è ancora un dono, e posso dire che ci ha salvato con i suoi sorrisi e la sua serenità: così com’è». Il marito di Marta all’inizio non capiva, non si capacitava: «Ma Dio può permettere questo?». Poi si è lasciato attrarre da quegli occhi «da quell’anima pura», dallo sguardo di una ragazza che non può spiegarsi ma capisce tutto e parla, anche se a modo suo.

Marta ricorda: «Ogni pomeriggio Giulia era a carico nostro e facevamo a turno, dopo aver studiato, a tenerle compagnia e accudirla: ma nessuno ci ha mai obbligate a farlo». Si sono aiutate reciprocamente, Marta e Valentina. «E anche adesso, diamo una mano a mamma e papà che sono in pensione ma non sempre ce la fanno a starle dietro». E mandarla in un centro specializzato? «Non ci è mai passato per la testa: solo negli ultimi anni qualche volta va in una struttura dove ci sono dei bambini, le piacciono tanto». Ha bisogno di stimoli continui e così le sorelle e i genitori la portano fuori, a passeggio, a vedere il mare, a camminare sulla sabbia. E a scuola? «Ci è sempre andata, ha avuto meravigliose insegnanti di sostegno». Se la famiglia Buson, con mamma Rosanna in testa, non si è mai sentita abbandonata, è anche per merito dell’associazione, che ha consentito uno scambio di esperienze e di informazioni utili, sulle terapie e sul trattamento anche psicologico dei pazienti. Si è creata un’amicizia tra famiglie. «Io e Valentina, i nostri mariti, mamma e papà – conclude Marta Buson – spesso siamo ancora scombussolati, qualche volta tristi, ma la serenità di Giulia ci spiazza sempre, il suo silenzio, così dolce, ci conquista e ci fa capire veramente chi siamo».

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