mercoledì 25 maggio 2011
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Lenin vi si lambiccava al punto da intitolare 'Che fare?' la sua o­pera più importante. Napoleo­ne, al contrario, si faceva guidare dal­l’istinto e mentre Sieyes, capo del di­rettorio, rifletteva sul Terzo Stato, lui prese armi e potere… Vai a capire quanto conta davvero il 'programma' in politica; eppure, leggere quello dei candidati a sindaco può aiutare i mi­lanesi: che domenica e lunedì votino per l’Expo e gli asili nido, oppure con­tro un 'nemico' politico, sfogliando le 31 pagine di Letizia Moratti e le 33 di Giuliano Pisapia si renderanno con­to di essere di fronte non solo a due programmi ma a due weltan­schauung, due diverse concezioni del mondo. Pisapia (48,04% al primo turno) so­gna di costruire una «società plurale e interculturale», ancorata a «egua­glianza e laicità» e alla «democrazia partecipativa» (molti 'tavoli' e dirit­to di voto agli immigrati) in cui il Co­mune esercita un ruolo economico, drena risorse ed è «centrale», anzi è «interlocutore principale e prioritario del Terzo Settore e del volontariato» nel sistema dei servizi. Invece, il sindaco uscente Moratti (41,58%) postula l’autonomia di cit­tadini e associazioni e definisce la sus­sidiarietà - l’istituzione sta un passo indietro e incoraggia la società civile a gestire i servizi pubblici, spesso con un vantaggio in termini di qualità e di costi - come il proprio «orientamen­to culturale»: la sua impostazione è quella del liberalismo temperato, che presuppone un intervento dell’ente pubblico limitato tanto quanto limi­tati devono essere i tributi («non met­teremo nuove tasse e intendiamo ri­durre le tariffe dei servizi» assicura) e volto a «semplificare la vita ai cittadi­ni e alle imprese». Hanno peso anche i temi della solidarietà e della sicu­rezza, che nel programma rappre­sentano gli innesti rispettivamente di cattolici e leghisti. Una tale divaricazione, sia chiaro, non è scontata neppure in un sistema bi­polare: a Torino, stesse elezioni e stes­si partiti, ma nessun complesso ver­so il berlusconismo (e l’antiberlusco­nismo), tutti i candidati hanno fatto a gara per 'assomigliare' a Chiampari­no, che aveva governato bene. A Mi­lano, altra storia. Forse perché Arcore è a due passi, la Lega di governo è na­ta qui (Giunta Formentini, 1993) e il Pd milanese, che non vince un’elezione da anni (Penati in Provincia, 2004), se conquisterà Palazzo Marino dovrà ringraziare Sel, l’anima laicista e radi­cale della coalizione che ha imposto Pisapia con le primarie. Gli sfidanti al ballottaggio hanno in comune l’estrazione borghese e radi­ci politiche laiche (liberal-democra­tica lei, radical-socialista lui), quindi il programma diviene uno strumen­to indispensabile per captare il voto cattolico, decisivo da che il Nuovo po­lo ha deciso formalmente di non schierarsi. E, si sa, la capitale dei sin­gle (50,6%) è anche la sede della dio­cesi più grande d’Italia: un migliaio di parrocchie, centinaia di scuole pari­tarie, altrettante Caritas e patronati… Anche per questo stupisce che Pisa­pia paghi un pedaggio ideologico co­sì pesante ai radicali: li ha asseconda­ti nella campagna pro-eutanasia, ha recepito le loro richieste sulle coppie di fatto e si limita ad affermazioni di principio sull’aborto, dato che su que­sto punto il suo programma richiama genericamente la «corretta attuazio­ne» della legge 194. Tanta attenzione non trova corri­spondenza nei numeri: la lista Boni­no piazza in consiglio comunale (e so­lo in caso di vittoria) un esponente appena, Marco Cappato, mentre un terzo dei nuovi consiglieri comunali del Pd (11 su 29 se vincerà, 6 su 17 se perderà, lista civica compresa) pro­viene da esperienze ecclesiali. Per l’av­vocato ex Prc questa significativa pat­tuglia di cattolici impegnati rappre­senta una risorsa fino al ballottaggio e un problema dal giorno successivo, quando - se vincesse - dovrebbe ap­plicare un programma nato - raccon­ta chi c’era - a prezzo di estenuanti mediazioni. Che non sono bastate a togliere dal terreno tutte le pietre d’in­ciampo. Il modello di città che il centrosinistra di Pisapia intende realizzare, ad e­sempio, non privilegia la famiglia co­stituzionalmente definita, cara ai cat­tolici: il programma entra in tema con un tono di sufficienza («Si parla di fa­miglie ma l’evoluzione degli stili di vi­ta ci conferma che esse cambiano»), soffermandosi con enfasi sulla 'città delle donne' che dovrà superare «gli stereotipi di genere». Più avanti sco­priamo che si punta a un «forte inve­stimento sugli asili e le scuole per l’in­fanzia » e a «una politica delle tariffe dei servizi sociali rigorosamente im­prontata al rapporto reddito/carico familiare» ma che ne beneficeranno «tutte le comunità affettive e di vita», comprese quelle «estranee all’istituto del matrimonio». Saranno ricono­sciute attraverso il registro delle u­nioni civili che non sarà «un atto sim­bolico ma funzionale all’adozione di politiche e atti non discriminatori», a partire dagli orientamenti sessuali. Come dire che l’incontro mondiale delle famiglie, promosso dalla Chiesa a Milano l’anno prossimo, è un ritro­vo di nostalgici. «Stiamo lavorando per una Milano più vicina alla famiglia» è invece l’incipit del centrodestra. Fattore famiglia nel­le tariffe, apertura di nuovi nidi, con­ferma del bonus bébé, libri di testo gratuiti per elementari e medie, arri­va pure il bonus nonno … La città del­la Moratti è orientata a sostenere la famiglia basata sul matrimonio, pur non negando aiuti ai genitori soli. Per lei il tema della famiglia fa il paio con quello della piena parità scolastica, mentre Pisapia dichiara il proprio im­pegno per la scuola statale e comu­nale e annuncia una «profonda rior­ganizzazione interna» e una «revisio­ne della politica tariffaria». Le divergenze sono altrettanto forti sulla sicurezza. Pisapia vuole far di­menticare la politica 'repressiva' de­gli sgomberi impostata dal centrode­stra (e cara sia alla Lega sia a settori del Pdl) e poiché «l’immigrazione non è illegalità» propone di trasformare via Padova, una delle arterie in cui si con­centrano stranieri e problemi, in un 'laboratorio sociale'. Autorizzerà an­che la costruzione di una grande mo­schea e autorizzerà i Rom ad autoco­struirsi le case. La Moratti liquida l’in­tegrazione in 7 righe e dedica un co­spicuo capitolo alla sicurezza. Inizia così: «Azzeramento dei campi noma­di irregolari». L’Expo 2015 è l’asso del centrodestra, che promette 61.000 nuovi posti di la­voro e le nuove metropolitane. La grande esposizione non infiamma in­vece Pisapia, il quale vorrebbe ripen­sarla secondo gli stilemi della sinistra («Expo innovativa, partecipata e dif­fusa »): una strana avversione, perché la manifestazione approdò a Milano anche grazie a Romano Prodi. Da un principe del foro ci si sarebbe aspet­tati piuttosto una requisitoria contro i ritardi. Più complesso, infine, il discorso sul piano di governo del territorio, la grande liberalizzazione urbanistica varata la scorsa estate con il duplice intento di ridisegnare la città e fare cassa. Ora, il centrodestra rilancia con 30.000 alloggi in housing sociale e tan­to verde urbano, mentre Pisapia vuo­le cambiare radicalmente il Pgt, par­la di 'recupero' del patrimonio esi­stente e denuncia «80.000 apparta­menti e 900.000 metri quadrati di uf­fici sfitti e invenduti…». Rivoluzione anche per la mobilità sostenibile: mentre la Moratti innesta la retro­marcia sull’ecopass («gratuito per i milanesi») lo sfidante torna su pedaggi di congestione e isole ecologiche.
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