martedì 20 settembre 2011
​Le bimbe sono nate a Salerno, una è in terapia intensiva. Polemiche nella comunità scientifica: rischio per la salute. La donna sarebbe rimasta incinta grazie a una fecondazione eterologa, probabilmente effettuata all'esterno.
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​Mamme anziane. A qualche giorno dalla vicenda di Torino – che ha visto il Tribunale dei minori dichiarare l’adottabilità della figlia di una coppia che aveva dimostrato lacune nel crescerla, lei 57 anni e lui 70 – i riflettori si accendono sulla Campania. E precisamente sull’ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona di Salerno, dove Silvana Sofia, una donna di 57 anni, ha dato alla luce due gemelline.Non è dato sapere con certezza se l’ennesima mamma “da record” abbia partorito naturalmente o se – come è trapelato da fonti del nosocomio e come è più probabile, vista la sua età – abbia ottenuto la tanto agognata gravidanza in seguito a una fecondazione eterologa, effettuata all’estero proprio come nel caso della coppia di Torino. Ma poco è importato ai medici del reparto "Gravidanze a rischio" dell’ospedale. Che con la donna, medico come il marito, arrivata nella struttura alla 19esima settimana di gestazione, hanno affrontato (e per fortuna superato) difficoltà enormi.Sin dai primi mesi Silvana ha infatti risentito dei problemi fisici causati dall’ipertensione, dal diabete e dalla presenza di un grosso fibroma. Dopo la trentesima settimana di gestazione, poi, è sopraggiunta un’altra grave patologia a carico delle bimbe. Le due placente si erano fuse, con una trasfusione di sangue da una gemellina all’altra e di conseguenza determinando una crescita maggiore in una delle due ed un grave difetto di crescita nell’altra. Condizione che ha richiesto un intervento delicatissimo, riuscito. Poi, il parto, ancor più complicato: i medici sono dovuti intervenire con il taglio cesareo d’urgenza e l’intervento è stato complesso proprio a causa del fibroma. Oggi, a parto effettuato, con le piccole Karola Pia (2 chili) e Adriana Cristina (1 chilo e 360 grammi) che hanno bisogno di assistenza respiratoria, la più piccola in terapia intensiva, Silvana si lascia andare a ringraziamenti: «Ho coronato il sogno della mia vita– ha detto – lottando con mio marito per avere un figlio».La vicenda contribuisce a fomentare le polemiche sui limiti d’età per le pratiche di fecondazione e, più in generale, su un’aspirazione alla genitorialità che non si ferma più ai paletti fissati dalla biologia. Costringendo la medicina (e sempre più spesso anche la giurisprudenza) a confrontarsi con casi spinosi. A stigmatizzare la pratica dal punto di vista scientifico ieri ha pensato subito Giuseppe De Placido, ordinario di Ostetricia e Ginecologia e direttore del Centro di Infertilità di coppia del Policlinico Federico II di Napoli, centro di riferimento regionale. Che ha spiegato come nel centro non si esegua alcun trattamento oltre i 43 anni di età per le bassissime possibilità di riuscita e per il rischio a cui si espongono le pazienti: «È bene chiarire – ha detto De Placido – che a maggior ragione donne in menopausa per avere una gravidanza non solo devono utilizzare ovociti di donatrici, ma devono anche assumere terapie ormonali, con tutti i rischi connessi alle patologie oncologiche, per preparare l’endometrio all’impianto dell’embrione».I dati, d’altronde, parlano chiaro. Le relazioni annuali sulla legge 40 indicano in aumento l’età media delle donne che si sottopongono alla fecondazione (nel 2009 l’età media è stata di 36,2 anni contro i 35,9 del 2008 e i 34,3 delle media Ue). Ogni anno, poi, sarebbero almeno 365 i cicli a cui si sottopongono le donne italiane sopra i 46 anni all’estero per ottenere una gravidanza con la fecondazione assistita eterologa (pratica vietata in Italia dalla legge 40) grazie agli ovociti acquistati da giovani donatrici (spesso sfruttate e costrette a trattamenti ormonali inauditi per soddisfare il mercato della provetta).
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