mercoledì 24 novembre 2021
Parla la responsabile delle Politiche giovanili con delega alle dipendenze. "A Genova per la prima volta il governo torna a confrontarsi. E sulla cannabis no a posizioni ideologiche"
La ministra Fabiana Dadone

La ministra Fabiana Dadone - Ansa

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Dieci ministri seduti attorno a un tavolo a parlare di droga. Non succedeva da un decennio. E se fosse anche solo questo, il merito della Conferenza nazionale sulle dipendenze in programma per il weekend, varrebbe la pena averla organizzata. A Genova sabato mattina, oltre a Fabiana Dadone, ci saranno Roberto Speranza per la Salute e Patrizio Bianchi per l’Istruzione, Marta Cartabia per la Giustizia e Luciana Lamorgese per l’Interno, Andrea Orlando per il Lavoro e Stefano Patuanelli per le Politiche agricole, Mariastella Gelmini per gli Affari Regionali ed Elena Bonetti per la Famiglia, persino Luigi di Maio per gli Esteri. Perché l’emergenza droga intercetta le competenze di tutti: negli ospedali, nelle classi, nelle carceri, nelle case, attraverso i confini nazionali e internazionali. E perché i documenti e le relazioni che da Genova torneranno a Roma dovranno finire in Parlamento, con l’ambizione di trasformarsi in una riforma di legge attesa per troppo tempo dal mondo dei servizi e delle comunità: quella sul Testo unico del 1990, che all’emergenza di oggi risponde con armi ormai spuntate. Sette le sessioni tematiche previste nella due giorni, punti di approdo per gli altrettanti tavoli che da giugno scorso hanno visto a confronto tutti gli attori istituzionali e non coinvolti nel tema. Due le tavole rotonde aggiuntive: una dedicata al ripensamento delle città, cioè di quegli spazi urbani dimenticati che sono diventati spesso negli ultimi anni teatro privilegiato dello spaccio e dei consumi; l’altra incentrata sul tema scottante delle nuove rotte del narcotraffico, compresa la Rete, che durante la pandemia è diventata il canale privilegiato della distribuzione di sostanze.

Rivendica la scelta – coraggiosa – di aver voluto immediatamente ripristinare la legge convocando una Conferenza sulle dipendenze che mancava da 12 anni. Rivendica di averla preparata e costruita coinvolgendo tutti, anche se all’ultimo «problemi organizzativi ed esigenze istituzionali» hanno modificato il programma non consentendo al mondo del privato sociale e dei servizi di salire sul palco per un confronto. Lancia la sfida di uscire da ideologie e posizioni polarizzate – «specialmente sulla cannabis» – per tornare a occuparsi del Paese reale, delle famiglie e dei ragazzi che dalle dipendenze sono inghiottiti e che chiedono aiuto. Fabiana Dadone, ministra per le Politiche giovanili con delega su quelle antidroga, tra tre giorni sarà a Genova con mezzo governo per provare a tracciare un segno di svolta nella gestione dell’altra pandemia che sta travolgendo il nostro Paese.

A questo appuntamento, che aveva promesso fin dal suo insediamento, è arrivata in meno di un anno.
È così. D’altronde era necessario e non più differibile, per chiunque avesse le mie deleghe, ristabilire l’obbligo di legge che prevede una Conferenza ogni tre anni. Si tratta di un momento fondamentale, in cui tutti quelli che si occupano del tema si confrontano sull’impatto della normativa e sul funzionamento dei servizi per offrire al Parlamento una relazione che permetta eventuali interventi di riforma.

Si arriverà, a una riforma di quel Testo unico vecchio di trent’anni e così limitante rispetto agli interventi da mettere in campo oggi?
La riforma deve senz’altro arrivare. Le posizioni di tutti gli attori coinvolti, dal mondo dei servizi pubblici a quello del privato sociale fino alle carceri, sono le stesse. Serve un rinnovato sguardo sulla persona più che sulla sostanza, un’attenzione e una presa in carico del disagio che porte alla dipendenza, qualunque essa sia. Serve anche formazione di chi si occupa di questa presa in carico, serve nuova consapevolezza degli strumenti che abbiamo per avvicinare i giovani e metterci in dialogo con loro, a cominciare dalla riduzione del danno. Abbiamo esempi straordinari già messi in campo sul nostro territorio, sebbene a macchia di leopardo. Dobbiamo metterli a sistema e seguirli.


Alla vigilia della Conferenza di sabato e domenica
si riaccende il dibattito sulle sostanze
e sul mondo dei servizi: «Così abbiamo
ristabilito la legge, che prevede incontri
ogni 3 anni. Ora un Piano nazionale»

Il mondo delle comunità terapeutiche e dei servizi, che in questi 12 anni di “vacanza” istituzionale si è occupato senza fondi né una legge adeguata dei ragazzi travolti dalla dipendenze, è rimasto deluso dal programma della Conferenza. Tanti tavoli, tanti esperti, ben 10 ministri presenti e la prima linea dell’emergenza lasciata in platea, senza la possibilità di un dibattito. Perché questa scelta?

L’idea di questa Conferenza è nata proprio dal confronto con il mondo delle comunità e dei servizi e il percorso condiviso che abbiamo costruito per arrivarci sarebbe stato impossibile senza di loro. Vorrei ricordare che le proposte e i temi che saranno dibattuti a Genova sono il frutto del lavoro di ben 7 tavoli che da giugno si sono riuniti e hanno preso in esame, ciascuno per le sue competenze, i problemi legati al pianeta dipendenze: la realtà penale e penitenziaria, le strategie di intervento, la prevenzione e la riduzione del danno, la riabilitazione e il reinserimento sociale e lavorativo. Il ruolo dei servizi e delle comunità in questo confronto e a questi tavoli è stato, insomma, fondante: è il loro lavoro che verrà presentato e discusso alla Conferenza. C’è il rischio che diventi una passerella? Al contrario, ci siamo presi il rischio di mettere finalmente lo Stato e il governo attorno a un tavolo a discutere di un tema che per troppo tempo avevano dimenticato. Il dibattito ci sarà, si potrà intervenire e porre domande e suggestioni dalla platea: io mi aspetto che la Conferenza sia il più possibile un luogo e un momento di confronto.

Nonostante i temi a cui faceva riferimento e la necessità impellente di una riforma di legge, è sempre il nodo cannabis a incombere nel dibattito sulla droga. Non ci nascondiamo, ministra, che la cannabis è anche il convitato di pietra di questa Conferenza...

Se lo fosse, se tornassimo ad appiattire tutto sul tema della cannabis, sprecheremmo una grande occasione. E lo dico da convinta antiproibizionista, quale sono da tempi non sospetti. Il senso di questa Conferenza e di questa nuova fase è quello di superare le polarizzazioni, di provare a uscire una volta per tutte dal dualismo sterile “favorevole o contrario” e questo mio appello è rivolto soprattutto al mondo della politica. Certo, in Conferenza si parlerà anche di cannabis a uso medico (è un tema che mi sta particolarmente a cuore), di produzione di canapa. Ma la cannabis non è l’unico fronte, anzi: i ragazzi oggi sono travolti dall’alcol e dalla dipendenza da Internet, il loro disagio psichico è enorme, la pandemia ha acuito l’emergenza educativa. E poi, parlando di droga, c’è tutto il tema della cura, della prevenzione, del reinserimento lavorativo: quest’ultimo è la grande ferita del sistema, in ogni comunità che visito mi viene spiegata la frustrazione e persino l’inutilità dell’intervento se poi manca la possibilità di rimettere queste persone dentro alla società dandogli una prospettiva.

Le comunità per questo (e altro) da tempo chiedono il ripristino del Fondo nazionale per la lotta alla droga, confluito nel calderone delle politiche sociali.

Nella legge di bilancio, per quest’anno e l’anno prossimo, abbiamo ottenuto lo stanziamento di 4 milioni di euro per il Dipartimento delle politiche antidroga. È un primo passo.

Dopo la Conferenza come si procede?

Con l’aggiornamento del Piano nazionale antidroga, anche quello fermo da anni. Dobbiamo recepire quello Ue, conto di farlo entro la fine dell’anno o a inizio 2022.

Lei si occupa di Politiche giovanili. Che si fa concretamente coi ragazzi e con l’emergenza che stanno vivendo sul fronte educativo?

Si torna ad ascoltarli, a mettersi nei loro panni e a coinvolgerli. Come ministero stiamo provando a renderli protagonisti di alcuni passaggi decisionali per esempio, penso alla Conferenza sul futuro dell’Europa di primavera. La Pre-cop ci ha mostrato quanto hanno da dire e quanto come adulti possiamo imparare da loro su temi decisivi per il futuro. I ragazzi non possono essere più lasciati ai margini delle decisioni politiche.
DA SAPERE

1. Un Testo unico da riscrivere
Da tempo le comunità terapeutiche chiedono al Parlamento e all’esecutivo di riscrivere la normativa sulle dipendenze: il Testo unico risale infatti al 1990. Era un altro mondo, sia per chi spacciava che per chi consumava. Oggi i canali di distribuzione e le modalità di assunzione degli stupefacenti sono completamente cambiati.
2. I percorsi di recupero
Al momento, i percorsi socio-riabilitativi viaggiano su due binari diversi: per la maggior parte vengono gestiti dai SerD, i Servizi pubblici per le dipendenze, che indirizzano le persone più bisognose di aiuto alle strutture presenti sul territorio. Poi ci sono gli ingressi indipendenti, organizzati in maniera autonoma dalle diverse comunità terapeutiche.
3. Troppi morti dimenticati
Oggi muore di droga una persona al giorno. I casi di overdose rimangono, anche se se ne parla di meno. E i consumi sono quasi raddoppiati, specie tra giovani e giovanissimi.

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