mercoledì 26 febbraio 2014
Le motivazioni della discussa sentenza della Consulta:  modifiche «estranee al decreto di partenza». La legge è stata bocciata per "vizio procedurale" e non per questioni di merito. 
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La Fini-Giovanardi è stata bocciata dalla Consulta solo per un "vizio procedurale" e non nel merito. Quelle norme, cioè, furono inserite nel 2006, in un decreto che riguardava ben altro, nello specifico le Olimpiadi di Torino. «Torna ad applicarsi», ora la vecchia norma. E gli imputati possono chiedere la sua applicazione, cioè il "favore rei". Quanto anticipato dal comunicato dell’11 febbraio viene ampiamente confermato dalle motivazioni depositate ieri. Che non fanno, invece, alcun riferimento a chi è già stato condannato. Dunque le norme che introducevano la «parificazione dei delitti riguardanti le droghe cosiddette "pesanti" e di quelli aventi ad oggetto le droghe cosiddette "leggere"» non potevano essere inserite nel decreto in quanto, spiegano i giudici, trattavano «fattispecie diverse per materia e per finalità», con una «evidente estraneità rispetto ai contenuti e alle finalità  del decreto» originario. Una nuova "tirata d’orecchie" a Governo e Parlamento da parte della Consulta che ricorda i ripetuti interventi critici del presidente della Repubblica, Napolitano e uno recentissimo del presidente del Senato, Grasso. Inoltre, accusa, quelle norme furono «frettolosamente» inserite in un «maxi-emendamento del Governo, interamente sostitutivo del testo del disegno di legge di conversione» e «su cui il Governo ha posto la questione di fiducia, così precludendo una discussione specifica e una congrua deliberazione sui singoli aspetti della disciplina in tal modo introdotta». Mentre, si legge ancora nelle motivazioni redatte dal giudice Marta Cartabia, «una tale penetrante e incisiva riforma, coinvolgente delicate scelte di natura politica, giuridica e scientifica, avrebbe richiesto un adeguato dibattito parlamentare, possibile ove si fossero seguite le ordinarie procedure». Ed è l’unico passaggio nel quale i giudici sfiorano il merito della norma.Mentre respingono la richiesta della parte privata - la persona che era stata trovata con 3,8 kili di hashish e il cui processo e condanna aveva poi provocato il ricorso della Cassazione alla Consulta - che intendeva entrare nel merito dell’equiparazione tra le diverse droghe. Su questo i giudici non intendono entrare in quanto tali deduzioni «introducono profili di illegittimità costituzionale non prospettati nell’ordinanza di rimessione». Dunque nessun «ampliamento», ma solo una decisione sulla procedura usata per approvare quella norma che per «le cosiddette "droghe leggere"», così le chiama la Corte, alzava la pena prevista da 2 a 6 anni  a quella da 6 a 20 anni. Ora cosa succederà? Dal un lato, spiega la Consulta, «torna ad applicarsi» la disciplina del d.P.R. n. 309 del 1990. Che, ricorda, «prevede un trattamento sanzionatorio più mite per gli illeciti concernenti le cosiddette "droghe leggere", viceversa stabilisce sanzioni più severe per i reati concernenti le cosiddette "droghe pesanti"». Ma questo vale solo per gli imputati e sarà «compito del giudice comune, quale interprete delle leggi, impedire che la dichiarazione di illegittimità costituzionale vada a detrimento della loro posizione giuridica» con «l’applicazione della norma penale più favorevole al reo».
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