giovedì 29 settembre 2022
I maggiori incassi fiscali dovuti all’inflazione riducono il deficit. Ma per l’economia è prevista una brusca frenata. l Pil salirà nel 2023 solo dello 0,6% e non, come previsto, del 2,4
Il premier Mario Draghi con il ministro dell'Economia, Daniele Franco

Il premier Mario Draghi con il ministro dell'Economia, Daniele Franco - Ansa

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Brusco rallentamento della crescita economica nel prossimo anno. La Nota di aggiornamento al Def approvata ieri dal Consiglio dei ministri rivede dal +2,4 al + 0,6% le previsioni sul Pil 2023. Si tratta di stime tendenziali, cioè calcolate a legislazione vigente. Toccherà poi al futuro governo fissare i nuovi obiettivi programmatici. Ma anche se l’economia tirerà il fiato a causa della guerra e del boom dell’energia, per i conti pubblici le notizie non saranno altrettanto negative.

La maggior crescita attesa per il 2022 (+3,3% invece del 3,1% stimato pochi mesi fa) e la corsa dell’inflazione, che gonfia gli incassi statali dell’Iva, lasceranno un tesoretto da 9-10 miliardi da spendere già quest’anno. Un "regalo" forse inatteso per la nuova maggioranza, grazie a un deficit 2022 che dovrebbe chiudere al 5,1% invece che al 5,6% preventivato nel Def di aprile e già autorizzato dal Parlamento. Mezzo punto di differenza che potrà essere così utilizzato per implementare le misure contro il caro-bollette senza attendere la prossima legge di bilancio.

L’inflazione infatti allarma le imprese, angoscia le famiglie e mina la crescita ma ha un effetto sedativo su indebitamento annuale e debito pubblico complessivo, che vengono calcolati in rapporto al Pil nominale, quello che incorpora le crescita dei prezzi. Per questo i conti pubblici tengono. Il deficit è previsto scendere dal 3,9% al 3,4% l’anno prossimo e il debito è dato in diminuzione al 143,2% (era al 145% nella stima di aprile). Un sentiero di discesa che proseguirà negli anni a seguire fino ad arrivare al 139,3% nel 2025 (dalla vecchia stima di 141,2%).

Previsioni improntate ad un «approccio prudenziale», spiega il ministro dell’Economia Daniele Franco che nella premessa alla Nadef definisce i dati «rassicuranti» perché, pur in un contesto difficile, lasciano spazi di intervento alla politica economica.

La frenata del Pil è comunque brusca. «I prossimi mesi saranno complessi, alla luce dei rischi geopolitici e del probabile permanere dei prezzi dell’energia su livelli elevati - afferma il documento -. Le risorse a disposizione del Paese per rilanciare gli investimenti pubblici e promuovere quelli privati, sia in nuovi impianti sia in innovazione, non hanno tuttavia precedenti nella storia recente (con il Pnrr restano circa 170 miliardi da spendere nei prossimi tre anni e mezzo, si spiega) e potranno dar luogo a una crescita sostenibile ed elevata, così da porre termine alla lunga fase di sostanziale stagnazione dell’economia».

La Nota non esclude tuttavia che l’impatto della crsi possa essere più pesante. Nello scenario di maggior rischio il Pil quest’anno potrebbe essere di 0,2 punti inferiore alle previsioni (chiudendo quindi al 3,1%) e il prossimo anno di 0,5 punti, il che porterebbe la crescita vicino allo zero (+0,1%). Uno scenario che si concretizzerebbe con «una più accentuata caduta della crescita dell’economia mondiale, che implicherebbe una recessione per l’Europa, un rafforzamento del tasso di cambio dell’euro, un ulteriore allargamento del differenziale fra titoli di stato italiani e il bund e un blocco degli approvvigionamenti del gas naturale».

Ma anche escludendo ulteriori difficoltà già nel 2023 «permarranno gli effetti del rialzo dei tassi» e «la spesa per interessi sarà pari al 3,9% del Pil». Un aumento che avrà un impatto negativo «molto significativo» sull’andamento dell’economia nel prossimo anno e in quelli successivi.

La palla passa ora al nuovo governo che potrà intervenire già subito dopo l’insediamento grazie al "tesoretto" accumulato. Poi si aprirà il più impegnativo capitolo della legge di bilancio. Basti pensare che allo stato dei prezzi il sostegno alle imprese contro il caro-energia costa 14 miliardi a trimestre. E che ne servono 4,5 solo per confermare il taglio dei contributi sul lavoro già adottato per il 2022.

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