venerdì 15 dicembre 2017
Nel 2016 è salito il reddito medio, ma a vantaggio soprattutto dei ceti più ricchi. C'è più soddisfazione per il benessere individuale, meno per i rapporti sociali. Laureati in difficoltà
Dopo la crisi più disuguaglianze
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L'Italia è uscita dalla crisi ma non tutte le fasce della popolazione e tutto il territorio nazionale ne hanno beneficiato. Nonostante la crescita del reddito medio disponibile sono aumentate infatti le disuguaglianze. Gli italiani si dichiarano meno soddisfatti dei propri rapporti sociali e mostrano una minore partecipazione civica e politica, mentre migliora al contrario il giudizio sul proprio benessere soggettivo. Sono i tratti salienti del nuovo rapporto sul benessere equo e sostenibile (Bes) presentato oggi dall'Istat, Gli indicatori del Bes sono divenuti per scelta del governo parametri di riferimento per il ciclo di programmazione economica.


Nel 2016 il reddito disponibile pro capite delle famiglie è cresciuto dell'1,7%. Se espresso a parità di potere d'acquisto (Ppa) per depurare le differenze nei prezzi, resta comunque "inferiore del 2,3% alla media europea", spiega il rapporto. Guardando al 2015, ultimo anno di disponibilità dei dati di dettaglio, emerge che la crescita del reddito "è stata più intensa per il quinto più ricco della popolazione, trainata dal sensibile incremento della fascia alta dei redditi da lavoro autonomo, che avevano registrato ampie flessioni negli anni precedenti".

In un quadro di minore equità sociale, anche le relazioni sociali mostrano una tendenza al peggioramento: tra il 2015 e il 2016 sono diminuiti quanti si dichiarano molto soddisfatti per le relazioni familiari e amicali. Le uniche regioni in controtendenza sono Veneto, Molise e Basilicata che sperimentano significativi aumenti del volontariato, della fiducia negli altri e della soddisfazione personale.
Sono poi "decisamente negativi" i segnali sulla capacità dell'Italia di favorire prospettive lavorative per i laureati. Lo mostrano i dati sulla mobilità dei laureati tra 25 e 39 anni: nel 2016 in 16.000 hanno lasciato il paese e poco più di 5.000 sono invece rientrati. La perdita netta (-4,5 per 1.000), è in linea con il trend di peggioramento osservato negli ultimi anni (-2,4 per 1.000 nel 2012 e -4,2 nel 2015).

Non mancano tuttavia indicatori positivi. Nel 2016 la speranza di vita alla nascita, pari a 82,8 anni, recupera completamente la flessione del 2015 e si accompagna all'andamento positivo dei principali indicatori di mortalità. In particolare la mortalità infantile, che sintetizza la capacità del sistema sanitario di tutelare madri e neonati, scende già nel 2014 al di sotto di 3 per 1.000 nati vivi. Anche la mortalità per i tumori maligni, la principale causa di morte fra gli adulti, si riduce ulteriormente in corrispondenza dei progressi medici in questo campo (9 per 10.000 residenti). La soddisfazione per il proprio benessere individuale cresce: il 41% degli individui ne dà una buona valutazione, era il 35,1% nel 2015.


Migliora anche la partecipazione ai processi formativi. Diminuisce nel 2016 la quota di giovani (18-24 anni) che escono da scuola senza qualifica o diploma (13,8%), in costante calo da 8 anni. Aumentano invece i giovani tra i 30 e i 34 anni che hanno concluso percorsi universitari o di pari livello (oltre il 26%). "In entrambi i casi risultano raggiunti o superati gli obiettivi nazionali per Europa 2020 (rispettivamente il 16% e il 25/26%) ma l'Italia rimane lontana dalla media Ue", afferma il rapporto.

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