mercoledì 22 febbraio 2023
Le domande-chiave sul gran pasticcio dei soldi dei cittadini rimasti incagliati per i lavori edilizi e sulla via d'uscita che si sta studiando
La genesi del "caos crediti" e la soluzione delle compensazioni
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Perché si è creato questo caos sui crediti?

Il problema è di due livelli. Il primo è quello contabile per lo Stato: tutti questi bonus si basano sul principio che il contribuente paga le opere e matura, quindi, il diritto a sgravi fiscali (i quali sono rimasti intatti, anche il cosiddetto Superbonus 110%, ora al 90%, e non vengono toccati dal decreto). Per lo Stato uno sgravio vuol dire incassare meno tasse da chi paga i lavori, concedere cioè un credito d’imposta al contribuente. Proprio per questa ragione lo Stato “spalma” tali sgravi in più anni - 5 o 10 -, per diluire nel tempo il minor incasso: se lo sgravio è di 100 euro, in 5 anni il governo rinuncia ogni 12 mesi solo a 20 euro. Che solo in parte vengono recuperati con il gettito in più che si produce, invece, per via dell’aumento delle attività delle imprese edili e delle tasse pagate dagli addetti del settore (che trovano più lavoro). Il credito d’imposta presenta però un problema potenziale: se chi ne beneficia non ha abbastanza tasse da pagare (a esempio perché ha un reddito basso), non ha nemmeno “imposte” a sufficienza da cui scalare la detrazione. Per questo lo Stato ha sempre limitato, poi, le cessioni dei crediti e gli sconti in fattura. Fino al maggio 2020, quando il governo Conte II (composto da M5s, Pd e Iv), per reagire alla pandemia decise, contestualmente al varo del Superbonus 110%, di rendere liberamenti vendibili tutti i crediti legati ad agevolazioni edilizie. E qui è nato il secondo livello del problema.

Perché ora si vuol puntare sulle compensazioni fiscali con l'F24?

Lo sconto in fattura serve a evitare che il committente dei lavori eviti di anticipare parte dei costi da pagare e, nel caso del Superbonus, che debba versare anche un solo euro. Facciamo un esempio: se devo fare un lavoro da 90 euro vuol dire che maturo un credito da 99 euro (questo sempre nel caso del bonus 110%). Questo credito, tuttavia, posso anche “girarlo” e cederlo all’impresa che mi fa i lavori: a quel punto metterà essa tutti i 99 euro necessari e se la vedrà poi con lo Stato per recuperare i 99 euro di credito maturato, scalandoli dalle sue tasse sempre per i 5 o 10 anni previsti. A sua volta, però, l’azienda edile può vendere il credito a un altro soggetto, possibilmente più grande, che anticiperà i fondi necessari evitando la spesa anche alla ditta edile. Senza limiti agli sconti in fattura, però, il meccanismo diventa come quello del cerino acceso che alla fine resta in mano a qualcuno: anche le banche, che incassano le tasse di aziende e singoli contribuenti che portavano a esse i loro crediti d’imposta, hanno raggiunto la “capienza fiscale”, nel senso che non avevano più nulla da scalare per compensarli. Deriva da qui l’idea presente nella proposta avanzata già da tempo dall’Abi e dai costruttori dell’Ance: allargare i margini di manovra con i moduli F24, quelli usati apposta per versare le tasse. In pratica vuol dire che, dopo averle incassate da tutti i loro clienti, ogni singola banca potrebbe trattenere per sé le tasse, anziché riversarle poi allo Stato come sempre. Con questo meccanismo (che però ha anch’esso un problema di gettito per lo Stato, tutto da verificare), gli istituti creditizi avrebbero più soldi in cassa utili per acquistare poi ulteriori crediti fiscali, riducendo così la "bolla" di 19 miliardi di crediti oggi rimasti incagliati e che sono al centro della querelle.

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