mercoledì 26 luglio 2017
Diplomazia in campo: accordi coi paesi africani per il controllo delle frontiere e investimenti per lo sviluppo. Parlano Vignali (Esteri) e gli ambasciatori Prencipe (Niger) e Isopi (Ciad)
Una donna salvata ieri con altri 120 migranti a Nord di Sabrata dalla Ong spagnola Proactiva Open Arms

Una donna salvata ieri con altri 120 migranti a Nord di Sabrata dalla Ong spagnola Proactiva Open Arms

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Il soccorso in mare, ovviamente. Poi l’integrazione in Italia. Ma dal cortocircuito delle migrazioni forzate non si esce senza guardare avanti, creando accordi con i Paesi africani, di origine e di transito. Per creare, assieme all’Europa, le condizioni perché i giovani africani possano scegliere liberamente se migrare o no. Un "aiutiamoli a casa loro" reale, non ipocrita e strumentale. Dalla Farnesina come dalle ambasciate "in trincea" la linea indicata è univoca.


«"Aiutiamoli a casa loro" è un’espressione molto caratterizzata che noi non usiamo», dice
Luigi Maria Vignali, direttore delle politiche migratorie del ministero degli Esteri: «L’Italia da tempo dialoga coi Paesi africani in una strategia di ricerca delle soluzioni: non ce n’è una sola. C’è la cooperazione allo sviluppo, che non basta. La proposta italiana all’Europa del Migration compact punta anche agli investimenti privati. E il Piano europeo di investimenti esterni con un effetto leva da 4 miliardi potrà generarne 40». Vignali ricorda che «l’Italia ha acquisito un patrimonio di credibilità eccezionale salvando migliaia di vite. E si è dotata di un fondo per l’Africa di 200 milioni, oltre alla cooperazione: solo in Niger investiamo 3 milioni per lo sviluppo agricolo, in Etiopia nel tessile per giovani e donne».


L’Italia a febbraio ha aperto - per la prima volta in assoluto - un’ambasciata nella capitale del Niger, Niamey. «Una decisione di portata storica, in un clima di chiusure di sedi diplomatiche – dice Marco Prencipe, ambasciatore in Niger – che testimonia il grande interesse politico ad allacciare e consolidare relazioni bilaterali con un Paese strategico. Negli ultimi cinque mesi abbiamo avuto due visite del presidente nigerino, una del ministro dell’Interno, una il ministro degli Esteri e in autunno arriverà a Roma il ministro della Difesa». Perché il Niger? «È "l’anticamera della Libia", paese di transito dei tre quarti dei migranti diretti in Libia», spiega Prencipe. «Le tribù del Nord che un tempo trafficavano schiavi, ora continuano coi migranti. Spesso li trasportano in Libia e poi rientrano con le armi che vanno in mano ai gruppi terroristici. Le operazioni di repressione del governo creano malcontento locale per la fine dell’indotto dei servizi di trasporto e alloggio. Per questo il Niger deve avere un sostegno al suo impegno. A marzo abbiamo firmato un accordo di bilancio di 50 milioni per sostenere le autorità nigerine nella lotta al traffico irregolare».

L’ambasciatore in Niger racconta di giovani migranti incontrati ad Agades, in un centro gestito dall’Oim sostenuto dall’Italia che dà assistenza ai migranti che decidono di fare marcia indietro perché esausti o consci dei rischi: «Partono da Gambia, Senegal, Costa d’Avorio, Nigeria, Mali, Mauritania, Burkina Faso. I trafficanti non gli dicono che da Agades ci sono ancora 1.800 chilometri di deserto per la costa e gli fanno credere che il Mediterraneo è un fiume da attraversare a nuoto».

Un punto di vista a dir poco privilegiato è quello di Samuela Isopi, ambasciatrice italiana in Camerun, Ciad, Repubblica Centrafricana e Guinea Equatoriale. «Il Ciad in particolare è un paese molto importante, per il contrasto a tutti i traffici nella regione del Sahel e molto impegnato contro il terrorismo. L’unico – spiega – ad avere dimostrato nei fatti una grande capacità di controllo delle proprie frontiere. Col Sudan controlla il confine con la Libia. L’Italia lo ha coinvolto in numerose iniziative con altri partner africani, per tutte le iniziative di stabilizzazione dell’area. Aneddoticamente è "il poliziotto del Sahel", ma conosce profondamente le dinamiche e le crisi regionali». Proprio oggi è a Roma il presidente Idriss Déby: «Il Ciad è un partner affidabile, è stato alleato con la Francia nel conflitto in Mali contro Boko Haram. E un ex primo ministro ciadiano è il nuovo presidente della Commissione dell’Unione africana». Un paese cui non mancano le difficoltà, dalla crisi per la totale dipendenza dal prezzo del petrolio, al prosciugamento del lago Ciad che ha creato sfollati climatici. Per quanto ancora manterrà questo ruolo? «Il Paese è circondato da aree di crisi: Sudan e Sud Sudan, Repubblica centrafricana, Nigeria, Libia. Dobbiamo lavorare assieme, formandone la polizia per la difesa delle frontiere, con Carabinieri e Guardia di Finanza. Altrimenti potrebbe saltare la sua capacità di contenere Boko Haram e i trafficanti di esseri umani».

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