venerdì 10 novembre 2023
Viaggio a Perdasdefogu, borgo del Nuorese, tra le 5 “zone blu” al mondo, le aree dove si vive di più. Le prime ricerche sugli anziani evidenziano l’importanza dell’alimentazione e di un ambiente sano
Antonio Brundu, uno dei centenari ancora in vita

Antonio Brundu, uno dei centenari ancora in vita - Collaboratori

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Se il dottor Faust e Dorian Gray avessero saputo che bastava la minestra di zia Consola, si sarebbero risparmiati molti pensieri. Chi mangia il minestrone della famiglia Melis, infatti, campa cent’anni. Lo sanno tutti a Perdasdefogu. Questo paesino sardo aggrappato al marmo dell’Ogliastra è diventato famoso per essere stato contaminato dall’uranio impoverito delle bombe Nato. Non era vero niente: i militari si esercitavano in zona, ma l’uranio era riservato ai teatri di guerra. Ci sono voluti anni per appurarlo. Alla fine si è scoperto che, al contrario, tra le pecore e il lentisco si vive più a lungo: nel frattempo, infatti, questa per la scienza era diventata una delle cinque Blu Zone al mondo, quei territori dove gli anziani stanno meglio e vivono di più.

Adesso, proprio all’interno del poligono interforze di Salto di Quirra, sta nascendo un laboratorio per lo studio della longevità. Merito dell’Associazione per la tutela dell’identità ogliastrina e della Barbagia di Seulo, guidata da Flavio Cabitza. Il dentista foghesino ha vinto la causa che ha impedito lo sfruttamento commerciale dei campioni di sangue del suo popolo. Più di 11.700 ogliastrini, nei primi anni 2000, avevano accettato di donare il proprio dna nell’ambito di un progetto di ricerca del Cnr e di una società privata. Con il fallimento di quest’ultima, la biobanca rischiava di lasciare l’isola. Oggi i campioni sono custoditi all’Università di Sassari. Insieme a quella di Cagliari, è partner dell’associazione in una nuova ricerca: oltre ad esaminare quel sangue, si farà luce sulle cause, genetiche e non, che permettono di vivere più a lungo.

Le prime scoperte sono arrivate. È emerso dal festival della longevità di Tortolì e Perdasdefogu, dove si è discusso su come sfruttare la scoperta a fini turistici. La ricaduta però sarà ben più ampia se si riuscirà a capire perché i sardi sono immuni a talune malattie. Le statistiche ci dicono che sull’isola ci sono 16,6 centenari ogni 100mila abitanti (e 17,9 nell’Ogliastra) mentre in Italia sono 14,1. A vivere di più sono i maschi: il rapporto tra femmine e maschi che raggiungono i 100 anni passa tasso dai 3,8 dell’Italia al 2,70 della Sardegna a 1,4 in questa parte del territorio nuorese.

Zia Consola non si è mai posta il problema, mentre condiva il minestrone con l’olio di lentisco, una sorta di elisir di lunga vita al costo di 700 euro al litro. La nuora, Delia, 84 primavere, ci ricorda che «il frutto del lentisco va raccolto col vello, bollito, messo in un sacco, pestato da una donna anziana a piedi nudi e poi bollito di nuovo: l’olio viene in superficie durante la bollitura e tu lo tiri su col mestolo…». È fatica vana mettere in discussione la ritualità della pigiatura e perché ci si debba buttare sulle spalle una pelle di pecora. Zia Delia è irremovibile su certe pratiche, che intercettano credenze ancestrali, sviluppatesi intorno al culto della natura come Dea Madre. «Viviamo a lungo perché preghiamo tanto - assicura -. Preghiamo per difendere la vigna, all’alba o al tramonto, mettendo sotto la lingua un bottone; non ho mai capito perché ma funzionava solo così. Pregano i cacciatori ed è una preghiera antichissima che neanche i preti sanno». Com’è come non è, suo marito, zi’ Adolfo è vissuto 98 anni. Si portava appresso il dna di zia Consola, che, avendo sfiorato i 108 anni, è diventata l’icona della longevità sarda. Anche lei mangiava il case agedu, un formaggio fresco di capra dal gusto acido. Pare che abbia proprietà salutari.

Zia Consola, che tra gli elisir di lunga vita aveva il minestrone condito con l’olio di lentisco

Zia Consola, che tra gli elisir di lunga vita aveva il minestrone condito con l’olio di lentisco - Collaboratori

Viene da Perdasdefogu anche Elisa Lai, la nutrizionista che lavora con Grazia Fenu Pintori, docente di scienze biomediche dell’Università di Sassari. Con un’altra ricercatrice, Benedetta Pische, studia nel laboratorio di Salto di Quirra le cause epigenetiche della longevità, quei fattori esterni - dal clima all’alimentazione - che modulano l’espressione dei nostri geni e quindi la reazione del corpo. La società Cell Wellebeing ha messo a disposizione la tecnologia C-Drive, che, attraverso l’analisi del capello, evidenzia i fattori epigenetici. Servirà ad effettuare rapidamente la mappatura.

Con l’associazione collabora l’Università di Cagliari: «I microbi che abbiamo nel corpo - spiega Germano Orrù, direttore del laboratorio di Biologia molecolare del dipartimento di Scienze chirurgiche - non sono secondari ai processi che modulano lo stato di salute dell’uomo. Il microbiota rappresenta la comunità dei microrganismi presenti nel nostro corpo, una sorta di “tessuto” microbico fondamentale per i nostri processi vitali. Il cavo orale presenta il secondo microbiota come massa batterica dopo quello intestinale e risultati recenti lo associano a diverse malattie degenerative, non solo orali ma anche sistemiche, quali ad esempio l’artrite reumatoide, il tumore al colon retto. Mantenere il microbiota in uno stato di “eubiosi” (e quindi in equilibrio) significa far prevalere le specie microbiche buone (commensali) rispetto a quelle che potenzialmente possono modulare le patologie descritte prima. Da ciò discende l’utilità dell’igiene orale: non è un caso che le antiche popolazioni dell’Ogliastra la curassero con attenzione».

Studiando le ossa degli antenati di zia Consola, e in particolare la placca dentale dei foghesini vissuti tra fine ‘800 e il 1950, Orrù è arrivato alla conclusione - presentata in un congresso medico a Bristol - «che la loro longevità sia stata condizionata anche dai batteri della bocca e da una costante igiene orale, che i sardi praticavano con arbusti e masticando foglie dalle proprietà antibatteriche. In questo modo, contrastavano proprio i batteri patobionti» che, duecento anni fa, erano presenti nel cavo orale degli ogliastrini in percentuali significativamente minori di oggi. La palepatologa Cristina Demontis, che ha lavorato sul tartaro degli antenati, ha rilevato per l’appunto una diffusione più limitata delle carie e tracce di una costante igiene orale: «Sui denti delle popolazioni ottocentesche ci sono dei solchi che testimoniano lo strofinamento intenso con arbusti», spiega. «Corbezzolo e ulivo hanno proprietà antibatteriche - aggiunge Orrù - e lo strofinamento causava il permanere di detriti di corteccia in bocca, prolungando l’effetto». Anche il mirto inibirebbe i patobionti.

Secondo gli scienziati, inoltre, gli antichi ogliastrini si nutrivano abitualmente di erbe e frutti altamente funzionali, come appunto il lentisco, e le loro capre, da cui ricavano il formaggio, brucavano 40 diverse varietà di erba. Tutto ciò finiva nel minestrone di zia Consola e delle altre donne ogliastrine. Queste scoperte sono state pubblicate su Nature. Gli scienziati si sbilanciano a dire che «l'antica popolazione sarda era in grado di controllare il biofilm anaerobico orale dei patogeni con una dieta ricca di composti antiossidanti». Biodiversità e salute hanno un forte appeal turistico, si sa, ma Orrù guarda più lontano: queste ricerche sui patobionti della bocca e sull’effetto antiossidante di taluni alimenti sardi, «convergono nel valutare aspetti protettivi alimentari verso malattie degenerative, come l’aterosclerosi».




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