giovedì 7 maggio 2020
Contrasti senza fine, ora si rinvia a domenica o lunedì, Lite Iv-Pd sugli aiuti dello Stato alle imprese, ipotesi di detassazione degli aumenti di capitale
Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte.

Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. - Ansa

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Non finiscono le liti nella maggioranza sugli aiuti alle imprese. E così il "nuovo" decreto economico atteso da milioni di italiani tra famiglie e imprenditori in cerca di un sostegno economico, annunciato in aprile e poi a maggio, finisce in naftalina e, fra non pochi imbarazzi di governo, subisce un altro rinvio al fine settimana, a domenica o forse a lunedì. Tra un susseguirsi di riunioni tecniche e politiche, il governo non riesce a chiudere la maxi-manovra da 55 miliardi, tanto che si inizia a ipotizzare anche uno spacchettamento delle misure (frenato da M5s), per accelerare almeno sui capitoli sui quali c’è accordo.
Di sicuro fra le ultime novità sono confermati i buoni fino a 500 euro per le bici con 125 milioni a disposizione, come ha ribadito il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, e il superbonus con detrazione fino al 110% sui lavori antisismici e di risparmio energetico che scatterà dal 1° luglio, per cui si batte il sottosegretario alla presidenza Riccardo Fraccaro, mentre sembra destinato a restare fuori il progetto della ministra Nunzia Catalfo di ridurre l’orario di lavoro, anche per evitare licenziamenti: dopo il no secco delle imprese, ieri è stato Nicola Zingaretti, segretario del Pd, ad affermare che «è un’idea legittima del ministro, ma non è mai stata discussa in nessuna sede».
Ma i dettagli da mettere a punto sono ancora molti, a partire, appunto, dal pacchetto per le imprese. Italia Viva rimane seccamente contraria a ipotesi di ingresso diretto dello Stato nel capitale delle Pmi, perché si rischia di «sovietizzare l’Italia», tuona Matteo Renzi dopo una intervista - smentita nel titolo - del vicesegretario dem Andrea Orlando che caldeggia l’operazione ma esclude l’accesso dello Stato «nella governance delle aziende. «Non è intenzione del governo entrare nei Cda», gli fa eco il ministro M5s dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli. Ma lo scontro va avanti ormai da giorni e le rassicurazioni già fornite anche dal ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, non sono bastate a placare i sospetti dei renziani. Che continuano a chiedere di estendere i limiti di fatturato per i soldi a fondo perduto, ora pensati solo per le piccole imprese fino a 5 milioni (in base al danno subito, si valuta fino al 20%), ma pensano pure al taglio di parte delle tasse e dell’Iva al momento soltanto sospese e che dovrebbero, con il nuovo testo, slittare ancora da giugno al 16 settembre. Si valuta anche la strada di crediti d’imposta per chi immette risorse fresche nella sua azienda: incentivi fiscali per gli apporti di capitali privati, in effetti, sarebbero già allo studio, ma per accompagnare il sistema che vedrebbe lo Stato contribuire con proprie somme al rafforzamento delle medie imprese, quelle tra 5 e 50 milioni di fatturato. Le ipotesi sono ancora molteplici. Si starebbero, a esempio, valutando alternative al meccanismo della pari iniezione di capitale privato e quota pubblica (se l’imprenditore mette 50, lo Stato mette altri 50), che non piace a Confindustria e potrebbe non conciliarsi con le nuove regole Ue sugli aiuti di Stato, anch’esse attese ormai da giorni. Bruxelles potrebbe chiedere singole istruttorie e segnare i confini per l’intervento di Cdp nelle imprese più grandi. Anche i governatori, infine, aprono un fronte: troppo pochi i fondi per garantire i servizi senza chiedere soldi in più ai cittadini, lamentano. Mentre per velocizzare la Cig in deroga, si è stabilito solo ora di creare un gruppo di lavoro ad hoc. L’ennesimo.

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