mercoledì 30 ottobre 2013
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L’iter della decadenza di Silvio Berlusconi dal seggio senatoriale «non riguarda l’attività del governo», che non assumerà alcuna iniziativa sulla questione, perché i due piani dell’azione dell’esecutivo e delle vicende giudiziarie del Cavaliere «non potevano né possono essere sovrapposti». Era prevedibile che in Senato ci sarebbero stati forti «fibrillazioni», ma la «maggioranza politica» resta salda. È sera quando, con un richiamo al discorso pronunciato dal premier Enrico Letta il 2 ottobre in Senato, l’entourage di Palazzo Chigi lascia intendere chiaramente che non ci sarà alcuna "scialuppa di salvataggio" per Berlusconi da parte dell’esecutivo. Nel pomeriggio, le agenzie di stampa hanno diffuso alcune anticipazioni del nuovo libro di Bruno Vespa, che ribadiscono il pressing del fondatore del Pdl-Forza Italia per una soluzione normativa che scongiuri la spada di Damocle della decadenza, perché «sarebbe una macchia per la democrazia». La soluzione, disinvoltamente suggerita, risiederebbe nell’inserimento, nella riforma della giustizia, di una norma interpretativa che escluda la retroattività della legge Severino: «Letta dica un sì o un no...», è l’ultimatum. In quelle ore, a Palazzo Chigi il premier è impegnato in un incontro à trois sulle implicazioni del Datagate col sottosegretario Marco Minniti e il direttore del Dis Giampiero Massolo. Subito dopo, lo attende il Consiglio dei ministri. In uno dei pochi attimi di una giornata senza tregua, il suo entourage gli riferisce dell’ennesimo appello berlusconiano. Il premier sceglie di non rispondere apertis verbis, ma a chi sollecita un commento, i suoi collaboratori ribadiscono come sulla questione Letta si sia già pronunciato nell’unica sede che davvero conta, il Parlamento, ribadendo come lo stato di diritto si basi sul principio di legalità» e sulla separazione dei poteri. In uno Stato democratico – aveva detto il premier in Senato – le sentenze si rispettano, si applicano, fermo restando il diritto intangibile a una difesa efficace, senza leggi o trattamenti né ad personam, né contra personam».Quel giorno, e su quel discorso, viene fatto notare, il governo ricevette un’ampia fiducia per continuare nella propria azione, compresi i voti del Pdl squassato dal rischio di scissione. Ma a Letta non sfugge come con l’approssimarsi della data del voto del Senato (che il Pd preme per calendarizzare verso metà novembre) le scosse che agitano un ramo della sua maggioranza potrebbero divenire un terremoto, oscurando nuovamente l’orizzonte di governo, ma sa anche di poter contare sulla responsabilità del vicepremier Angelino Alfano e dei ministri del Pdl, che continuerebbero ad assicurare il sostegno nell’interesse del Paese. L’incognita è rappresentata però dalle oscillazioni della massa dei parlamentari del partito berlusconiano, ancora ieri infiammati dalla <+corsivo>querelle<+tondo> sulla decadenza. E in effetti, nel Pdl c’è chi, come Renato Schifani, parla di «agibilità di questa maggioranza» che si restringe «giorno dopo giorno». Qualcun altro, come Maurizio Gasparri, sconsiglia Alfano dal tirare la corda e avventurarsi in una scissione: «A passare alla storia fu Cesare – avverte – e non Bruto». E ai senatori Roberto Formigoni e Carlo Giovanardi, che pensano a un documento programmatico nel Consiglio nazionale dell’8 dicembre, dice: «Può essere legittimo, ma se vogliono fare un altro partito è un’altra cosa, sarebbe una scelta sbagliata e perdente». Una spinta alla spaccatura, adesso, metterebbe in difficoltà anche Alfano (che oggi vedrà Berlusconi) e i ministri, che non puntano per ora ad accelerare l’evoluzione delle cose, nella consapevolezza che una eventuale scissione gioverebbe soltanto al Pd  che presto potrebbe essere capeggiato dall’aspirante segretario Matteo Renzi: «Se si va ad elezioni a febbraio, Renzi vince facile», avverte Gaetano Quagliariello. Ma l’ex rottamatore, che ieri alla Camera ha incontrato ben 160 deputati e senatori del partito (molti di più di quelli che lo appoggiavano a inizio legislatura) nei pourparler coi suoi fedelissimi lancia segnali rassicuranti: se il governo continua a lavorare, il mio sostegno non verrà meno. Abbiamo detto 2015 e Letta stia sicuro, io non farò sgambetti.
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