domenica 4 maggio 2025
Dopo il caso di Capitol Hill, l'ultimo affronto di Trump ha riguardato il Conclave. Interferire e condizionare i governi sembrano essere azioni tornate di moda. Per questo dobbiamo vigilare insieme
Washington alla vigilia dell'Inauguration Day, il 20 gennaio scorso

Washington alla vigilia dell'Inauguration Day, il 20 gennaio scorso - Ansa

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Nel 1980 il regista John Landis, nel suo film The Blues Brothers, scioglieva un’adunata di «nazisti dell’Illinois» facendoli finire in un fiume per timore di essere investiti dalla sgangherata Dodge Monaco (ironia della sorte o citazione geniale, fate voi) dei fratelli Jake ed Elwood. Nel 2021, centinaia di emuli reali di quegli anti-eroi cinematografici, davano l’assalto alla sede del Congresso Usa a Washington per cercare di sovvertire il risultato delle presidenziali che aveva visto soccombere il loro candidato, il presidente uscente Donald Trump. Quella che (finora) è stata definita la pagina più nera della democrazia americana terminò con cinque morti e decine di feriti. Nel 2025, rieletto, Trump ha subito graziato gli assaltatori di allora. E ieri, con l’account ufficiale della Casa Bianca, ha superato tutti i suoi più recenti eccessi arrivando a pubblicare un fotomontaggio di se stesso vestito da Papa (nei giorni scorsi ha dichiarato che gli piacerebbe diventare Papa e che nessuno, ovviamente, lo farebbe meglio di lui) sui social media, incluso Truth, che lui stesso creò quando fu bandito da Facebook e Twitter proprio a causa dell’attacco sovversivo e barbarico a Capitol Hill.

Se questo è lo stato attuale della più grande democrazia del mondo, e se guardiamo anche alla nostra Europa, si capisce che negli ultimi anni qualcosa di enorme è accaduto nei processi politici. Qualcosa di più grande, ma di certo collegato, del fatto che nel frattempo Twitter ha cambiato nome in X dopo essere stato comprato dall’uomo più ricco del pianeta, Elon Musk, fin qui il principale sostenitore e finanziatore di Trump.

Proprio quel Musk che, ancora titolare di un incarico nell’amministrazione Usa, utilizza il suo social per commenti a dir poco “rudi” sulle cose politiche di Paesi terzi, per lo più europei e non allineati con la sua visione oligopolista del mondo, e della detestata Ue. Nelle ultime ore, manco a dirlo, il padrone di Tesla e aspirante colonizzatore dello spazio ha difeso il partito di estrema destra tedesco Afd, un serio pericolo secondo i servizi segreti di Berlino, sostenendo che metterlo al bando sarebbe «un attacco alla democrazia». Più o meno le stesse parole usate dal vicepresidente americano JD Vance e dal segretario di Stato Marco Rubio, da Matteo Salvini e Roberto Vannacci in Italia.

In altri tempi sarebbe stato superfluo ricordare che la democrazia non si esaurisce nel partecipare alle elezioni. Anche Hitler e Mussolini parteciparono alle elezioni. La democrazia richiede molte altre condizioni, tra le quali il rispetto della separazione dei poteri, la legittimazione dell’avversario, l’osservanza rigorosa dello Stato di diritto, la garanzia di un’informazione libera. Tutte caratteristiche della democrazia liberale, di cui gli Stati Uniti d’America e l’Europa occidentale sono stati i baluardi dal Secondo dopoguerra. Oggi quell’intreccio virtuoso di poteri, contrappesi e controlli si mostra paurosamente sfilacciato e rischia di prestare il fianco a nemici che per attaccarlo ricorrono proprio alle libertà che assicura.

La globalizzazione ha portato con sé anche molte ingiustizie e disuguaglianze, le quali hanno generato rabbia e malcontento. I social media hanno scelto di privilegiare la propaganda (che cavalcando la rabbia e il malcontento genera più clic e fa girare più soldi) rispetto all’informazione. Senza contare che in tempi come questi, di guerre armate e commerciali, la verità dei fatti può risultare ancora più scomoda. Interferire e condizionare sembrano i verbi preferiti dai manovratori di oggi. Ma a distillare quotidianamente veleno e paura si ottengono odio e divisioni. E l’odio ha sempre bisogno di un nemico per sopravvivere ed espandersi, per continuare a nascondere le sue menzogne e i suoi veri interessi. Negli anni, goccia dopo goccia, è passato il messaggio che i Parlamenti sono inutili zavorre al piede di chi comanda, che i partiti “tradizionali” (cioè democratici) sono solo bande di ladri, che la stampa “mainstream” (cioè professionale) è loro complice e concubina. Giusto due giorni fa il presidente argentino Javier Milei ha scritto, naturalmente su X: «Non odiamo abbastanza i giornalisti». E li ha accusati, appunto, di essere «una casta anche peggiore di quella dei politici».

Così il populismo e il nazionalismo sono risorti e bussano alle porte di democrazie sempre più in difficoltà. Così è stato consegnato il dominio della comunicazione (non informazione) a un pugno di miliardari convinti che tutto sia in vendita. Perciò, per celebrare davvero la Giornata mondiale della libertà di stampa che ricorreva ieri, è urgente riaffermare il principio che l’informazione plurale e professionale è un bene comune e come tale va sostenuto e difeso. Perché viviamo tempi bui e, come ha detto un cronista leggendario come Bob Woodward, «senza il giornalismo, la democrazia muore nel buio».

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