martedì 24 gennaio 2023
La transizione verde procede, ma è ancora all’inizio: i vecchi idrocarburi continuano a fornire quasi il 75% dell’energia che consumiamo, le rinnovabili sono al 20%. Diversificazione in corso
Un deposito per lo stoccaggio di gas naturale a Trinidad e Tobago

Un deposito per lo stoccaggio di gas naturale a Trinidad e Tobago - Reuters

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Si parla da tanto tempo di transizione energetica, ma in realtà siamo davvero solo all’inizio. Petrolio e gas naturale restano saldamente al centro del sistema energetico mondiale, europeo e italiano. Nel 2021 l’Italia ha ottenuto dal gas il 40% dell’energia consumata e dai derivati del petrolio un altro 34%. Le rinnovabili crescono, ma non arrivano ancora al 20%. I numeri dell’intera Unione Europea non sono molto diversi. È a causa di questa dipendenza dagli idrocarburi che lo scontro con la Russia, il più grande esportatore mondiale di gas naturale, ha mandato così in crisi il sistema energetico europeo. Ognuno ha cercato le sue soluzioni nazionali. L’Italia ha trovato un solido appoggio nella vicina Algeria.

Non scopriamo certo oggi il gas algerino: la prima linea del gasdotto Transmed, che attraversa il deserto e approda a Mazara del Vallo, è stata completata nel 1983. L’Algeria è stata per anni il principale fornitore di gas dell’Italia. La Russia l’ha superata soltanto nell’ultimo decennio, dopo il completamento del gasdotto Nord Stream. Il sorpasso è arrivato precisamente dal 2013, l’anno prima dell’invasione della Crimea. Quando emanciparsi dalle forniture di Gazprom è diventata una necessità, per l’Italia è stato naturale rivolgersi ad Algeri, che subito ha risposto. Le forniture attraverso il Transmed nei primi undici mesi dell’anno sono aumentate di oltre il 10%. Tra gennaio e novembre l’Algeria ha pompato in Italia 21,2 miliardi di metri cubi di gas, fornendoci quasi il 35% del nostro fabbisogno di metano.

Ma anche la diversificazione delle forniture è solo all’inizio. La Russia nel bilancio provvisorio del 2022 resta il secondo maggior fornitore: dall’ingresso di Tarvisio sono entrati 12,6 miliardi di metri di cubi di gas russo in 11 mesi. È meno della metà del gas che avevamo comprato da Gazprom nel 2021, ma comunque è più dei 9,5 miliardi di metri cubi che ci sono arrivati dall’Azerbaigian, terzo fornitore e altro Paese su cui dovremo fare affidamento nei prossimi anni. Il gas azero arriva in Italia tramite il famigerato Tap, il gasdotto che arriva in Salento, a Melendugno, e che fu molto contestato negli anni passati. Attivo da fine 2020, quest’anno ha dato il massimo: le importazioni azere sono aumentate del 47,4%.

Il vero balzo lo hanno fatto però le forniture di gas norvegese, che ci arrivano dalla rete di gasdotti dell’Europa del Nord, a cui siamo collegati a Passo Gries, al confine con la Svizzera. Sono passati da lì 7,4 miliardi di metri cubi, contro gli 1,6 di un anno fa. È una crescita del 353%. In calo, invece, le importazioni dalla Libia, che ci ha fornito 2,3 miliardi di metri cubi di gas (-23%) e il cui contesto politico non consente trattative affidabili. In prospettiva l’Italia, che in anni “normali” consuma 70 miliardi di metri cubi di gas, conta di potere avere già dall’anno prossimo 30 miliardi di metri cubi da Algeri, mentre in base agli accordi siglati tra l’Unione Europea e l’Azerbaigian le forniture che passano da Melendugno aumenteranno fino a raddoppiare nel 2027, per poi essere distribuite nel resto d’Europa.

Sulla rete dei gasdotti non c’è molto margine per fare di più. Il resto deve passare dai rigassificatori. Già nel 2022, sempre secondo i dati dei primi undici mesi, la quota di gas entrata in Italia tramite i rigassificatori di Rovigo, Livorno e Panigaglia (La Spezia) è balzato da 9 a 12 miliardi di metri cubi. Completare gli impianti di Ravenna e Piombino (di nuovo Livorno) sarà cruciale per potere aumentare da subito le forniture via nave da Qatar, Egitto e Stati Uniti e, in prospettiva, essere in grado importare il gas scoperto di recente da Eni in Africa, in particolare in Mozambico e in Congo.

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