sabato 24 febbraio 2024
Anche i familiari delle vittime e superstiti in Calabria per l'anniversario di quel tragico naufragio che provocò la morte di 94 persone e 20 dispersi.
La spiaggia di Steccato di Cutro dove per settimane il mare ha continuato a restituire gli effetti personali dei migranti

La spiaggia di Steccato di Cutro dove per settimane il mare ha continuato a restituire gli effetti personali dei migranti - Ansa

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Sulla spiaggia di Steccato di Cutro non c’è più nulla che ricordi i 94 morti, i 20 dispersi e gli 81 sopravvissuti. Tutto ripulito prima della passata stagione estiva. Solo ogni tanto il mare o la sabbia, come a tenere viva la memoria, fanno riapparire resti del barcone “Summer love” naufragato il 26 febbraio di un anno fa o le piccole scarpe o le giacche colorate dei bambini morti o scomparsi. Qualche giorno fa è stato ritrovato sepolto il piccolo gommone col quale gli scafisti avevano provato a fuggire lasciando i profughi ad affondare, uno era morto, gli altri ugualmente arrestati.

Ma in Calabria c’è altro che ricorda quella terribile strage. Ci sono dodici morti, sette senza nome, cadaveri sepolti senza un riconoscimento. Nove nel cimitero di Cutro, cinque senza nome, quattro adulti e un bimbo di un anno. Due nel cimitero di Crotone, uno dei quali, un giovane afghano, è stato riconosciuto dai genitori che però hanno deciso di lasciarlo in Italia. Infine c’è una bimba sempre afghana che è stata sepolta nel cimitero di Paola. È identificata solo con la sigla KR76F6, cioè Crotone, 76mo cadavere recuperato, femmina, 6 anni. La sua piccola bara bianca è stata portata nella cittadina cosentina su iniziativa dell’amministrazione comunale e dei Frati Minimi. Proprio loro un anno fa portarono le reliquie di San Francesco da Paola, loro fondatore, sulla spiaggia di Steccato di Cutro e saputo della bimba senza nome chiesero di poterla seppellire nel cimitero del comune. Così è stato e ora la piccola, ribattezza Francesca Paola in ricordo del santo, si trova in un’area non consacrata, in rispetto della sua probabile religione islamica, che è stata ribattezzata “Giardino degli Angeli”. In Calabria sono poi rimasti anche sei sopravvissuti.

Tre pachistani si trovano in un Sai di Cosenza, altri tre, afghani, in un Sai di Crotone. Alcuni lavorano in bar, gelaterie, pasticcerie, ristoranti. Si trovano bene e per questo hanno deciso di restare, mentre gran parte di quelli che sono riusciti a salvarsi dal naufragio sono andati via non solo dalla Calabria ma anche dall’Italia. In occasione dell’anniversario, come ci spiega Ramzi, operatore dell’associazione crotonese Sabir, da anni al fianco degli immigrati, verranno a Cutro 52 persone, in gran parte familiari dei morti. Vengono da Francia, Svizzera, Olanda, Finlandia, Svezia, Stati Uniti e Germania. E proprio dalla Germania verranno anche 9 superstiti del naufragio. Fanno parte del gruppo di 30 accolti dal governo tedesco un anno fa, sulla base di un accordo con quello italiano, e che però dopo un anno ancora vivono in un campo di accoglienza ad Amburgo, in 3-4 per stanza. Ma, soprattutto, non hanno ancora i documenti che gli permettano di muoversi liberamente. Solo l’impegno delle associazioni calabresi è riuscito a far ottenere, ma solo a 9, un passaporto di viaggio tedesco e un permesso di soggiorno che permetterà di raggiungere Cutro e poi tornare ad Amburgo.

Altrimenti sarebbero dovuti restare in Italia. Oltretutto, come ci segnala Ramzi, alcuni hanno un permesso di soggiorno con scadenza novembre e altri ottobre. E non si capisce il perché, visto le identiche condizioni. Ma non è l’unico problema che riguarda i sopravvissuti. Infatti se il governo tedesco ritarda nella regolarizzazione di poche decine di persone, che già tanto hanno sofferto, il governo italiano sembra aver dimenticato quanto promesso alcuni giorni dopo la strage quando la premier Giorgia Meloni, ricevendo a Palazzo Chigi alcuni sopravvissuti e alcuni familiari, che non aveva incontrato a Cutro, assicurò che sarebbe stato garantito il ricongiungimento coi parenti rimasti nei campi in Turchia e Pakistan. Ma non è successo niente, anzi il cosiddetto “decreto Cutro”, approvato proprio poco dopo la strage, ha reso tutto più difficile se non impossibile. Così ci sono uomini che si sono salvati ma non riescono a farsi raggiunge da mogli e figli, anche piccoli, in gran parte per poi raggiungere altri Paesi europei.

La morte li ha sfiorati ma dopo tante belle parole dei primi giorni ora è calato l’oblio e, come sempre, sono solo le associazioni del volontariato a occuparsi di loro.

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