lunedì 9 novembre 2009
Nel mirino della procura di Roma tutti quelli che hanno avuto contatti con il giovane deceduto il 22 ottobre scorso dal momento dell'arresto fino al ricovero in ospedale, passando per il carcere di Regina Coeli. Secondo l'avvocato della famiglia un detenuto avrebbe assistito al pestaggio. 
  • INTERVISTA AD ANDREOLI: «Troppe morti in carcere»
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    Prime iscrizioni sul registro degli indagati della procura di Roma nell'ambito dell'inchiesta sulla morte del geometra di 31 anni Stefano Cucchi, deceduto all'ospedale Sandro Pertini il 22 ottobre dopo essere stato arrestato sei giorni prima per spaccio di sostanze stupefacente. I pm Vincenzo Barba e Maria Francesca Loy hanno deciso di iscrivere per il reato di omicidio preterintenzionale i nomi di chi ha avuto contatti con Cucchi dal momento dell'arresto fino al ricovero in ospedale, passando per il carcere di Regina Coeli. "Indaghiamo a 360 gradi" si è limitato a dichiarare ai giornalisti il procuratore Giovanni Ferrara, facendo intendere che gli accertamenti disposti per fare luce sul pestaggio stanno riguardando i carabinieri, gli agenti della polizia penitenziaria e i detenuti che hanno condiviso con Cucchi alcune ore di cella. I magistrati, però, stanno verificando anche se sussistano elementi per contestare l'ipotesi di omicidio colposo a carico dei medici che hanno avuto in cura il ragazzo e che potrebbero aver sottovalutato le sue critiche condizioni di salute.Il testimone. Intanto spunta un testimone del presunto pestaggio avvenuto in cella. "Dalle informazioni che abbiamo, confermo la presenza di un testimone del pestaggio di Stefano Cucchi nella cella di sicurezza del Palazzo di Giustizia a Roma. Si tratta di un detenuto". Lo ha detto l'avvocato della famiglia Cucchi Fabio Anselmo. L'avvocato ha precisato di attendersi come imminente l'istanza di riesumazione del cadavere per svolgere una nuova autopsia. "Sappiamo cosa ha visto il testimone, chi sono le persone coinvolte. Ma in questo momento non possiamo dire di più", conclude l'avvocato Anselmo. Il caso Giovanardi. Intanto tutta la documentazione clinica, al centro di sospetti per possibili manipolazioni, è da ieri on-line sui siti abuondiritto.it, italiarazzismo.it e innocentievasioni.net, per iniziativa di Luigi Manconi. L’ex senatore e attivista per i diritti dei carcerati ha anche annunciato che Amnesty International intende condurre una propria inchiesta indipendente sulla vicenda.Vicenda che sul versante politico ha visto ieri toni di polemica accesa per una dichiarazione di Carlo Giovanardi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega – tra le altre materie – alla lotta contro la droga. «Cucchi era in carcere perché era uno spacciatore abituale. Poveretto è morto, e la verità verrà fuori, soprattutto perché pesava 42 chili». Nell’intervento radiofonico – la cui trascrizione è stata poi diffusa da Radio24 – Giovanardi se la prende con la droga che «ha devastato la sua vita, era anoressico, tossicodipendente». Messo male, insomma, come migliaia di altre persone – ha concluso il sottosegretario – che l’abuso riduce a «larve», a «zombie».Parole che hanno provocato la reazione, composta come finora in tutte le occasioni, della sorella di Cucchi, Ilaria, e del padre Giovanni. «Dichiarazioni a titolo gratuito – sottolinea la prima –. Noi non abbiamo mai negato che Stefano avesse problemi di droga. Ma questo non giustifica il modo in cui è morto». Il secondo aggiunge che la famiglia è ancora «in attesa della verità». Giovanardi a sua volta ha replicato di essere stato il primo a dare loro solidarietà. Ma che «la droga ha svolto un ruolo determinante» nella tragedia. Oltre all’atteggiamento dei medici, che, però, «oggi sono in difficoltà davanti a chi sostiene che la volontà del paziente deve essere sempre rispettata». Ma quella di Stefano «in quelle condizioni, era davvero così chiara?».Precisazione che non gli ha evitato un coro di disapprovazione che ha visto unite le opposizioni dal Pd all’Idv e sinistra non rappresentata in Parlamento. Con accuse di proibizionismo e richieste di dimissioni. Drastico anche Lorenzo Cesa, segretario del suo ex partito, l’Udc: «Barbaro». Dal silenzio del Pdl si è sfilato, infine, solo l’ex radicale Benedetto Della Vedova, per il quale quello di Giovanardi è stato uno «scivolone che contraddice la linea di rigore e prudenza scelta dal governo».
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