giovedì 8 agosto 2019
il reato di "clandestinità" all’italiana da 10 anni costa molto al contribuente, fa perdere tempo ai magistrati ed è inutile. Meglio le espulsioni mirate di criminali veri, ma non porterebbero voti
Migranti (Foto d'archivio Ansa)

Migranti (Foto d'archivio Ansa)

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Deterrenza e 10%. Erano la parola chiave e la percentuale che accompagnarono 10 anni fa l’introduzione del reato di clandestinità (oggi corretto in "ingresso irregolare") nell’ordinamento italiano. Deterrenza era l’effetto promesso dal governo Berlusconi per frenare gli sbarchi e la presunta invasione di migranti, il 10% annuo la diminuzione stimata degli arrivi. Ci furono polemiche e dibattiti, come oggi. A conti fatti, è la cronaca di un fallimento.

Era l’agosto del 2009 quando in Italia entrava in vigore la legge 94 che istituiva il cosiddetto reato di clandestinità. Ma fin dall’inizio, benché l’illecito avesse natura penale, non prevedeva misure l’arresto o il fermo di polizia, perché nell’ordinamento italiano sono ammesse solo per i reati che comportano una pena detentiva. E questo è un reato penale contravvenzionale, che sanziona cioè ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato con multe da 5 a 10mila euro. Di conseguenza lo straniero che entra o soggiorna illegalmente in Italia viene denunciato a piede libero e nell’intervallo di tempo che intercorre fra l’avvio dell’iter giuridico e la sua conclusione può andare dove vuole. Da irregolare o "clandestino".

Non ci vuole molto a capire che la contravvenzione è inesigibile (un irregolare non può avere lavoro né conto corrente) e che gli imputati saranno quasi sempre contumaci. Anche la possibilità di convertire l’ammenda in espulsione è teorica a causa dell’elevato costo della sua esecuzione e della scarsità delle risorse a disposizione.

È previsto il reato in altri Stati europei? Sì, ad esempio in Gran Bretagna e Francia ad esempio. Ma c’è una differenza non da poco: negli ordinamenti francese e britannico non esiste l’obbligatorietà dell’azione penale, prevista in Italia. Un grosso nodo perché comunque la macchina della giustizia italiana deve avviarsi.

Lo scenario. Pochi mesi prima il ministro dell’Interno Roberto Maroni aveva varato le norme del pacchetto sicurezza. Nel 2007 gli sbarchi secondo il Viminale coinvolsero 20.455 persone e nel 2008 salirono a 36.951 mentre nel 2009 scesero effettivamente a 9.573 con una ulteriore contrazione nel 2010 a 4.406. La deterrenza stava funzionando?

Il calo degli arrivi è stato spiegato con il "Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione" stipulato con la Libia di Gheddafi, che mirava a contrastare l’immigrazione intensificando i controlli alle frontiere e i respingimenti in mare in cambio di soldi. Anche allora i migranti venivano arrestati e imprigionati nei centri, molti pagati dall’Ue. E per questo l’Italia è stata condannata dalla Corte europea per i diritti umani.

Poi nel 2011 con la primavera araba ecco una nuova impennata, 64.261 arrivi. Anche nel biennio successivo i picchi salgono rispettivamente a 42.925 e 170mila. Sulla promessa deterrenza della legge può già calare il sipario. Poi nel 2015 si scende a 153.842 e nel 2016 si risale a 181.436, il record, per scendere a 119.369 persone sbarcate l’anno successivo. Il sensibile calo è dovuto al secondo accordo con i libici nel febbraio 2017, stavolta siglato dal titolare del Viminale Marco Minniti per conto del governo Gentiloni. È l’accordo con i famosi "sindaci", i capi delle milizie che trafficano in esseri umani, per tenere imprigionate migliaia di persone.

Dunque nessuna deterrenza. E nessun calo del numero di irregolari in Italia. La media di quasi 600mila è stabile. I conti sono presto fatti. Non tutti i migranti sbarcati nel decennio 2008-2018 hanno presentato domanda di asilo. Su circa 820 mila arrivi nel decennio 2008-2018, ad esempio, sono state presentate 433.245 domande. E in questi 10 anni circa 223 mila sono state accolte, secondo i dati del Viminale della Fondazione Ismu. Quindi 330 mila persone circa cui sommarne altre 200 mila diniegate le quali sono diventate irregolari. Non sappiano nulla di loro, quanti sono rimasti in Italia o quanti se ne sono allontanati. Una piccola parte si sarà data al crimine, anche se secondo l’ultimo rapporto di Antigone negli ultimi tre lustri, al quasi quadruplicarsi del numero degli stranieri regolari in Italia, è diminuito di circa tre volte il loro tasso di detenzione.

La genesi. Proviamo a capire quali reali necessità politiche hanno portato all’introduzione del reato in Italia con uno dei maggiori esperti, l’avvocato torinese Guido Savio, tra i fondatori dell’Asgi. «Fu introdotto per aggirare la direttiva Ue sui rimpatri del 2008. Questa stabiliva che le espulsioni degli irregolari non potessero essere attuate in modo coercitivo senza che fosse loro concesso un periodo compreso fra 7 e 30 giorni per uscire volontariamente dal territorio dello Stato. Solo in ultima istanza sarebbe stato possibile procedere all’allontanamento con misure coercitive, ma proporzionate. Questo il governo non lo voleva. Poiché la direttiva consentiva di derogare all’obbligo di concedere un termine per la partenza volontaria nei casi in cui l’espulsione fosse stata disposta come sanzione penale, Maroni decise di introdurre il reato di ingresso e soggiorno illegale».

Che ha comunque superato l’esame della Consulta. «Nel 2010 – aggiunge il legale – la questione fu sottoposta alla Corte costituzionale. I giudici ritennero che era conforme alla Carta perché il reato puniva non una condizione, ma un comportamento, una libera scelta». E nel 2018 la Cassazione ha raffermato che non si tratta di una «condotta occasionale», per cui non è possibile invocare la tenuità del fatto per evitare la condanna.

Il bilancio. Eppure dopo 18 mesi, su 172 fascicoli aperti, solo 55 erano stati definiti, e avevano portato ad appena 12 condanne, 18 patteggiamenti e quattro assoluzioni. Dalle oltre 13mila denunce fatte dall’agosto 2009 si passò a più di 28mila nel 2012, a circa 27mila nel 2016 ad oltre 40mila nel 2017. Risultato: tribunali intasati e poche espulsioni.

Senza contare che anche la legge sull’immigrazione Bossi-Fini prevede l’espulsione degli irregolari. Sulla carta, però. In realtà abbiamo irregolari che collezionano espulsioni mai attuate. Secondo Eurostat infatti sono stati 5.615 i rimpatri di irregolari effettuati dall’Italia nel 2018, di cui appena 435 volontari. E tra il 2017 e il 2018 gli ordini di espulsione sono calati del 25,3%. Costano troppo.

Per Savio (e molte componenti del pianeta giustizia) il bilancio è insomma fallimentare. «Lo Stato non recupera i soldi e non espelle. Il provvedimento ha peggiorato la situazione finanziaria dell’apparato giudiziario senza produrre alcun effetto contenitivo. Politicamente è stato invece redditizio, inducendo buona parte dell’opinione pubblica a pensare che si ponesse un argine all’irregolarità».

Si è stati a un passo dalla depenalizzazione nel 2016, ma il governo non la votò perché riteneva che l’opinione pubblica non fosse pronta. Sempre nel 2016 il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti lo definì un ostacolo per le indagini sui trafficanti di esseri umani. Se i migranti sbarcati venivano denunciati diventavano infatti persone informate dei fatti e non testimoni obbligati a dire la verità. Insomma, il reato di "clandestinità" all’italiana da 10 anni costa molto al contribuente, fa perdere tempo ai magistrati ed è pressoché inutile.

Si potrebbe razionalizzare puntando sulle espulsioni mirate di criminali veri. Ma questo non spaventerebbe nessuno. E sarebbe troppo serio, dunque non porterebbe consenso.


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