Perché sul fine vita la legge toscana «invade competenze statali»

Il mezzo no della Consulta al testo voluto dalla giunta Giani richiama ancora una volta il legislatore nazionale a fare la propria parte. Ma il testo, contro cui il Governo aveva fatto ricorso, è stato giudicato legittimo nelle parti organizzative. È incostituzionale invece fissare modalità e requisiti per il suicidio assistito propri di una normativa nazionale
December 30, 2025
Perché sul fine vita la legge toscana «invade competenze statali»
La legge regionale toscana sul fine vita resta in piedi, sebbene falcidiata in diversi aspetti giudicati incostituzionali, in quanto di competenza esclusiva dello Stato. Una sentenza attesa, la 204 del 2025, destinata a incidere perché stoppa in larga misura il fai-da-te delle Regioni, ma per la parte che resta in piedi mette in mora ancor più il legislatore nazionale, chiamato a intervenire con una legge che metta ordine fra le fughe in avanti delle sentenze sui singoli casi e degli interventi delle singole Regioni.
Il comunicato della Consulta sgombra il campo, con nettezza: «La Corte costituzionale ha respinto le censure statali sull’intera legge regionale toscana numero 16 del 2025, in tema di aiuto al suicidio». Aggiunge però che «ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di diverse sue disposizioni».
Che cosa possono fare, allora le Regioni e che cosa no? La Corte ha ritenuto che «nel suo complesso» la legge regionale sia riconducibile «all’esercizio della potestà legislativa concorrente in materia di tutela della salute e persegua la finalità di dettare norme a carattere meramente organizzativo e procedurale, al fine di disciplinare in modo uniforme l’assistenza del servizio sanitario regionale alle persone che - trovandosi nelle condizioni stabilite da questa Corte nella sentenza 242 del 2019, ulteriormente precisate nella sentenza 135 del 2024 - chiedano di essere aiutate a morire». Dunque la Consulta ribadisce l’ambito di applicazione delle sue due sentenze in materia, la prima di oltre 6 anni fa. Conferma quindi che non si ipotizza un diritto al suicidio, ma solo (ricorrendo i noti criteri della piena capacità di intendere e di volere; di una prognosi infausta; di una sofferenza ritenuta insopportabile e del mantenimento in vita grazie ai macchinari) una depenalizzazione del reato di aiuto al suicidio. Nel respingere «le censure statali sull’intera legge regionale toscana» e nel validare l’intervento regionale su aspetti «di carattere meramente organizzativo e procedurale» intima di fatto il ricorrente a fare la sua parte, portando avanti al più presto la proposta di legge che è attualmente ferma al Senato proprio in attesa di questo pronunciamento.
Ciò detto la sentenza – redatta dai due vice presidenti Luca Antonini e Francesco Viganò – ammonisce la Toscana, affinché anche le altre Regioni intendano, a non «pretendere di agire in via suppletiva della legislazione statale, per così dire “impossessandosi” dei principi ordinamentali individuati da questa Corte». Fra i punti “cassati” di particolare rilievo l’articolo 7 comma 1, che «disciplinando il supporto al suicidio medicalmente assistito, impegna le aziende unità sanitarie locali ad assicurare il supporto tecnico e farmacologico nonché l’assistenza sanitaria per la preparazione all’autosomministrazione del farmaco autorizzato». La Corte così entra nel merito di uno dei temi più delicati al centro del dibattito, l’intervento o meno del Servizio sanitario nazionale. Su questo punto la Corte ha ritenuto che «la disposizione regionale viola la competenza concorrente in materia di tutela della salute», dando luogo a «una illegittima determinazione da parte della legislazione regionale». Non dirime la questione “Servizio sanitario sì/Servizio sanitario no”, ma lascia intendere che può essere ritenuta ammissibile un’applicazione restrittiva come nel progetto della maggioranza (che esclude del tutto l’impiego di strutture e di personale del Ssn) e vieta alle Regioni di decidere in via autonoma sul punto, in quanto la norma toscana «invade la competenza legislativa esclusiva statale in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni».
Ma c’è un altro punto destinato a pesare, anch’esso al centro del dibattito. L’articolo 5 della legge toscana, relativo alla verifica dei requisiti, prevede che la procedura debba concludersi «entro venti giorni dal ricevimento dell’istanza mediante la comunicazione. Il termine può essere sospeso una sola volta, per un periodo non superiore a cinque giorni, per accertamenti clinico-diagnostici». Bocciando questa previsione la Corte ha di fatto disposto che venga assicurato tutto il tempo necessario alla verifica della disponibilità e dell’efficacia delle cure palliative, e dell’eventuale presenza di disturbi di altro tipo che possono essere affrontati in modo specifico con efficace supporto medico-psicologico.
Soddisfatto, comunque, il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani: «La Consulta ci legittima a legiferare sul fine vita». Concorda il costituzionalista Stefano Ceccanti: «Al netto delle censure di incostituzionalità la legge resta applicabile». La Consulta sottolinea infatti che la circostanza che lo Stato non abbia ancora provveduto all’approvazione di una disciplina organica, non preclude la possibilità di introdurre «una disciplina a carattere organizzativo e procedurale» su scala regionale.

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