martedì 27 aprile 2010
Il 30 giugno alla Corte europea l’istanza italiana con nuove motivazioni giuridiche elaborate da Carlo Cardia in uno studio presentato da Gianni Letta. Il testo sarà illustrato nella sua versione integrale il 4 maggio a Palazzo Madama alla presenza del presidente Schifani.
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Ci sono tutte le condizioni («elementi giuridici e di fatto») perché la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) di Strasburgo riveda la sentenza contro l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche italiane. Lo attesta Carlo Cardia, docente di diritto ecclesiastico a Roma Tre, che ha curato uno studio sul tema ("Identità religiosa e culturale europea") presentato ieri in una conferenza stampa a Palazzo Chigi dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta.Nel testo che sarà illustrato nella sua versione integrale il 4 maggio a Palazzo Madama con l’intervento anche del presidente del Senato, Renato Schifani, si afferma tra l’altro che, se non fosse modificato, il pronunciamento di Strasburgo produrrebbe un’«iconoclastia laica a senso unico» a danno di un simbolo che ha un valore di «pace e di apertura agli altri». In altri termini si avrebbe una scuola italiana «ricca dei colori di tante religioni, a cominciare dall’Islam, ma priva dell’unico simbolo» che rappresenta la nostra tradizione. La Grande chambre della Cedu, ha riferito Letta, il 30 giugno esaminerà il ricorso italiano contro la sentenza (già dichiarato «ammissibile»). Comunque il governo il 30 aprile presenterà un’ulteriore memoria illustrativa che si «farà forte» dello studio di Cardia. Il suo lavoro, che «esplora la materia in maniera molto ampia, approfondita, colta», con riferimenti «culturali e filosofici», è stato «molto apprezzato» a Palazzo Chigi. L’esecutivo, perciò, gli ha commissionato anche uno studio sui simboli di tutte le religioni, perché possa condurre all’approfondimento delle tematiche di tale simbologia e della sua presenza nei luoghi pubblici.Cardia si è detto «fiducioso» sulla decisione di Strasburgo, perché ritiene che la Corte «a suo tempo non abbia tenuto conto di elementi molto importanti, incorrendo anche in qualche caso in veri e propri errori, anche da un punto di vista tecnico». Tra di essi il fatto che la Cedu ha contraddetto la sua stessa giurisprudenza più che decennale tutta improntata al rispetto del principio di «sussidiarietà», per cui la discrezionalità delle decisioni in materia religiosa spetta alle autorità nazionali. In una sentenza del 1994, ad esempio, si riconosce la necessità di rispettare i sentimenti della grande maggioranza dei Tirolesi «cattolici romani». Cardia ha ricordato inoltre che in base allo Statuto del Consiglio d’Europa del 1949, i governi firmatari sono «irremovibilmente legati ai valori spirituali e morali, che sono patrimonio comune dei loro popoli e la vera fonte dei principi di libertà personale, libertà politica e preminenza del diritto, dai quali dipende ogni vera democrazia». Strasburgo, poi, secondo il giurista, ha commesso un altro svarione «macroscopico» attribuendo la normativa sul crocifisso a una posizione confessionale dello Statuto albertino, secondo cui la cattolica è la sola religione di Stato. In realtà l’esposizione del simbolo è prevista da leggi successive di uno Stato talmente «separatista» nei confronti della Chiesa da adottare leggi antiecclesiastiche. «La Corte evita di esaminare – si legge ancora nel rapporto di Cardia – l’impianto complessivo della disciplina costituzionale italiana fondato su una concezione di laicità positiva», «sociale», aperta al pluralismo (sono state ricordate, anche da Letta le intese stipulate con molte confessioni religiose). Una concezione dunque nettamente diversa da quella «negativa» della Francia, dove sono proibiti tutti i simboli religiosi a cominciare dal velo islamico per le donne, lo chador. Interessante a questo proposito che la Corte interpellata su di esso per due volte, non si è affatto pronunciata contro il velo. Un’altra sottolineatura in blu meriterebbe quella parte della sentenza secondo cui il crocifisso simboleggia soltanto il cattolicesimo, quando invece riguarda il cristianesimo nel suo complesso: il mondo ortodosso, tra i primi a protestare per la sentenza contro l’Italia, come quello riformato protestante.Il pronunciamento della Cedu, peraltro, «descrive una scuola italiana che non esiste» in cui sarebbe violata (ed è questa solo «un’asserzione ideologica») la libertà religiosa delle minoranze, mentre invece essa è protetta con una pluralità di presenze religiose, disciplinate giuridicamente che «eliminano ogni monismo e ogni possibilità di condizionamento dei ragazzi». In ogni modo, conclude Cardia, i diritti delle maggioranza «saranno almeno uguali a quelli appartenenti alle minoranze, e lo sviluppo della multiculturalità li fa emergere in modo ancor più netto e limpido rispetto al passato».
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