venerdì 12 aprile 2024
Il vescovo presidente della Comece annuncia una Lettera firmata insieme al cardinale Zuppi. «Di fronte alle tante sfide aperte oggi serve una vera unità del Continente»
Una seduta del Parlamento europeo di Strasburgo

Una seduta del Parlamento europeo di Strasburgo - Ansa

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La Cei e la Comece guardano avanti. Al Continente che verrà e anche al Parlamento che uscirà dalle urne dell’8 e 9 giugno. E per questo il 9 maggio, in occasione della giornata dell’Ue, verrà pubblicata una “Lettera all’Europa” firmata congiuntamente dal cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, e da monsignor Mariano Crociata, vescovo di Latina-Terracina-Sezze-Priverno e presidente della Comece, l’organismo che raccoglie i rappresentanti degli episcopati dell’Unione, sui grandi temi al centro del dibattito. Temi che il presule di origine siciliana affronta anche in questa intervista.
Con la guerra alle sue porte, la questione dei flussi migratori, la denatalità e questioni etiche divisive come, ad esempio, il presunto diritto all’aborto, qual è il senso dell’Ue?
Un senso più che mai valido, perché un’Europa “assediata” dai problemi ha quanto mai bisogno di trovare compattezza. Senza questo sforzo di continuare a stare e a lavorare insieme, i singoli Paesi sono condannati a rimanere isolati e inesorabilmente deboli. La domanda è piuttosto in che modo possiamo far capire che c’è un’urgenza simile se non pari a quella che portò i padri costituenti a creare l’organismo europeo.
E quindi ha un senso andare a votare. Ma per chi? Ci sono opzioni di voto assolutamente inconciliabili con la visione cristiana o anche solamente solidaristica della vita?
Distinguerei diversi livelli. Prima di tutto andare a votare in tanti è già un messaggio politico in riferimento all’importanza dell’Ue. A un secondo livello si pone poi il problema di non votare per chi rischia di non salvaguardare alcuni valori, con danno non tanto di una parte religiosa o ecclesiastica, ma di quei popoli che dei valori che il cristianesimo suggerisce e ispira e che formano il patrimonio culturale europeo si sono nutriti. Infine, c’è il rapporto del voto con il sostegno e la promozione dell’Ue. È un controsenso votare per sostenere forze che in quale modo auspicano la disgregazione dell’Unione.

Monsignor Mariano Crociata

Monsignor Mariano Crociata - Imagoeconomica

Ci sono però forze che sostengono i valori sociali trascurando la difesa della vita umana. E viceversa forze più sensibili a questa e non a questioni tipo l’accoglienza dei migranti. Come orientarsi?
L’universo valoriale per noi è indivisibile e non sarebbe accettabile indicare una preferenza per gli uni piuttosto che per gli altri. Dobbiamo tenere insieme questi valori. La persona va difesa all’inizio, durante e alla fine della vita. E naturalmente invitiamo a scegliere in maniera responsabile chi salvaguarda meglio questo insieme.
Spesso si ha l’impressione che certe decisioni dell’Unione in campo bioetico siano guidate da una logica anticristiana. In questi giorni, ad esempio, c’è il caso della risoluzione presentata all’Europarlamento che vorrebbe introdurre l’aborto nella Carta dei diritti fondamentali. La Comece ha già detto che il l’aborto non è un diritto. Ma che valore dare a simili iniziative?
Questa proposta è il segnale di un orientamento che sembra affermarsi innanzitutto in termini culturali e poi anche politici. È una mutazione del nostro orizzonte culturale che ci preoccupa molto. E non abbiamo nessuna riserva a stigmatizzarlo nei modi opportuni. Non so se si tratti di spirito anticristiano, anche se ci sono gruppi che vanno in questa direzione. Ma è un processo culturale molto più ampio che mira a far crescere una visione individualistica, una libertà assoluta e incondizionata e quindi il superamento di ogni limite morale.
Come rispondere?
Non dobbiamo fare delle guerre o cedere alla logica dell’assedio, quanto piuttosto immettere nel dibattito culturale le nostre ragioni e dialogare. Noi difendiamo l’integrità e la genuinità dell’umano a favore di tutti. Confrontandoci con tutti.
Di questi temi ci saranno echi nella Lettera all’Europa?
Certamente. La preoccupazione che emerge dalla Lettera è quella di avvertire circa l’unità sempre più necessaria e più forte. Un’unità invece fragile è pericolosa per l’Ue e per il suo ruolo, le impedisce di crescere e progredire. Un’Europa debole è dannosa e pericolosa per i Paesi membri ed è inutile nel confronto tra le grandi forze geopolitiche del mondo d’oggi. Naturalmente, nel documento si parla anche dei grandi temi del dibattito attuale.
Rafforzare la fragile unità significa una politica estera comune e l’esercito europeo?
Nella lettera sono citati anche questi temi. Senza ledere l’autonomia e l’identità delle singole nazioni, il processo di evoluzione del mondo globalizzato ha bisogno di un soggetto europeo più forte. Se non siamo capaci di una linea comune, l’Europa rischia di restare un luogo di scambi economici vantaggiosi per tutti, ma non un soggetto internazionale capace di interloquire con gli altri. In questo contesto la difesa comune è un tema da affrontare anche per trovare il giusto equilibrio, pure economico, tra i vari Paesi.
Si riferisce alla spesa per gli armamenti?
Per esempio. Si rischia di andare in maniera indiscriminata verso un aumento degli armamenti. Ma ci sono anche altre questioni come il fisco, che chiedono di essere prese in considerazione. Non affrontarle significa regredire e rassegnarsi a una debolezza oltre che a una conflittualità interna che non giova a nessuno. Da soli non si va da nessuna parte. Non ci si difende e non si cresce.
Veniamo al tema della pace. L’Ue si è schierata convintamente dalla parte dell’Ucraina aggredita. Ma dopo più di due anni la guerra infuria.
I due passaggi elettorali in atto, in Europa e negli Stati Uniti, rendono timorosi se non inattivi questi due soggetti che sono gli unici che potrebbero dire una parola chiara e forte ai fini di una iniziativa diplomatica energica. Lasciando che cresca la contrapposizione dei blocchi, non solo la guerra non finirà, ma si rischia di innescare altri scontri. A parte l’opera di deterrenza, che realisticamente è in qualche modo sempre necessaria, bisognerebbe promuovere uno sforzo diplomatico all’altezza della sfida e del momento. Il Papa lo chiede ogni giorno.
Ma è realisticamente possibile dialogare con Putin?
È senza dubbio molto difficile. Ma una cosa è cercare di stabilire un rapporto diretto, pur necessario, un’altra è cercare di agire su tutti gli attori in gioco.
Si riferisce alla Cina?
Anche. Ma penso pure ad altri Paesi, come abbiamo visto nelle votazioni in seno al Consiglio di Sicurezza dell’Onu o in altre situazioni. Sono auspicabili iniziative a tutto campo, non solo parlare con il soggetto direttamente interessato.
La questione dei migranti tiene sempre banco. Proprio mercoledì è stato approvato il nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo. Basterà?
La direzione del cambiamento è quella che unitamente al Papa abbiamo sempre indicato. Questo Patto non modifica anzi per certi versi rende più problematica la situazione. Quello che cerchiamo di far capire è che dall’accoglienza ordinata l’Ue ha solo da guadagnare. La questione è ideologico-politica perché purtroppo molte forze politiche agitano lo spauracchio dell’invasione a fini elettorali. Continueremo a fornire elementi oggettivi di conoscenza, per non alimentare le paure. Ma in questo momento l’opinione pubblica sembra più sensibile alle “sirene” dell’allarmismo.

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