giovedì 21 luglio 2022
Lo strappo deciso con l’astensione, concordato fra Salvini e Berlusconi, spiazza le ali governiste dei due partiti e innesca malessere e defezioni. Ma fa gioire Fdi, ricompattando tutta la coalizione
Salvini al Senato

Salvini al Senato - Ansa

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«Da domani siamo in campagna elettorale... ». È sera quando Matteo Salvini carica i parlamentari leghisti, in una riunione convocata a Montecitorio, quando ormai la sorte del governo Draghi appare segnata. Il segretario, raccontano, viene accolto da una salva d’applausi, a conferma di come la prospettiva di elezioni anticipate venga considerata una sorta di successo, e non un ripiego o una extrema ratio.

Eppure, fino a due giorni fa, anche nel Carroccio c’era chi (dal governatore del Veneto Luca Zaia al ministro Giancarlo Giorgetti) continuava a ribadire la necessità di salvare l’esecutivo in carica, per senso di responsabilità verso il Paese, in una congiuntura difficile. Voci rimaste inascoltate (a vantaggio di quelle che già invocano le urne), ma che potrebbero in privato presentare le proprie rimostranze al Capitano. Dal canto suo, Salvini addossa ad altri le responsabilità della caduta: «Draghi e l’Italia sono state vittime, da giorni, della follia dei 5 Stelle e dei giochini di potere del Pd – dice ai suoi parlamentari –. L’intero centrodestra era disponibile a proseguire senza i grillini, con Draghi a Palazzo Chigi e con un governo nuovo e più forte. Ma il Pd ha fatto saltare tutto».

Di fatto, lo strappo deciso ieri spiazza le "ali governiste" di Lega e Fi. E in seno a Forza Italia, la lacerazione è resa evidente dal voto in dissenso di alcuni senatori (Andrea Cangini e Laura Stabile) che dicono sì alla fiducia, contrariamente all’indicazione della capogruppo Anna Maria Bernini.

La linea, concordata nei giorni scorsi a Villa Grande fra Salvini e il leader azzurro Silvio Berlusconi, è rimasta quella di insistere su una nuova maggioranza senza M5s e con una "discontinuità" nell’agenda e nei ministeri (la Lega ha chiesto le teste dei titolari di Salute e Interno, Speranza e Lamorgese). Una soluzione prospettata dal Cavaliere durante i colloqui col premier e col presidente della Repubblica.

Qualcuno sostiene che Draghi non abbia voluto mediare. Sia come sia, ieri la decisione è stata quella di ritirare il sostegno all’esecutivo per iniziare a lavorare, da subito, nella prospettiva dell’imminenza delle urne. C’è pure chi riferisce di un piano B, ossia di una possibile "opposizione responsabile", nel caso in cui alla fine della crisi dovesse profilarsi l’opzione di un governo tecnico e che lo scioglimento delle Camere finisse per slittare a inizio anno, dopo la manovra di Bilancio. Ma è uno scenario che i leader del centrodestra per ora non considerano. «Questa legislatura è finita. Si può andare al voto anche tra due mesi. Fratelli d’Italia è pronta, il centrodestra è pronto», incalza la presidente di Fdi Giorgia Meloni. La sua soddisfazione è evidente: i sondaggi la premiano (Swg dà Fdi al 23,8%) e la scelta di stare all’opposizione sembra aver pagato. «La storia ci ha dato ragione», ripete. E, al telefono, scambia col Cavaliere alcune valutazioni, mentre Salvini lo raggiunge a Villa Grande per cena. L’ordine di scuderia è di ricompattare la coalizione, in vista della sfida delle urne.

Nel frattempo, però, nel partito azzurro la sofferenza cresce. Dopo un aspro battibecco con Licia Ronzulli («Contenta di aver mandato a casa il governo?» «Vai a piangere da un’altra parte e prenditi lo Xanax»), la ministra per gli Affari regionali Mariastella Gelmini se ne va: «Non posso restare. Forza Italia volta le spalle agli italiani e alla sua storia e cede lo scettro a Salvini, sfilando a M5s la responsabilità della crisi», è il suo j’accuse.

Il ragionamento gelminiano, condiviso da altri, è che, se «a dettare la linea è una Lega a trazione populista, preoccupata d’inseguire Giorgia Meloni, questi sono i risultati». Un malessere che, seppur silente, sarebbe condiviso da altri azzurri, forse anche dagli altri due ministri Renato Brunetta e Mara Carfagna, amareggiati dal fatto che il cerino della crisi sia finito in mano al centrodestra. C’è chi teme nuove uscite. E un ex veterano azzurro come Osvaldo Napoli, transitato in Azione, si spinge a intonare il De profundis: «Si chiude questa sera la storia trentennale di Forza Italia – commenta amaro –. Il centrodestra perde ogni impronta di liberalismo e popolarismo e da oggi è uno schieramento sovranista e populista».

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