giovedì 9 marzo 2023
In un'altra indagine, il tribunale dei ministri di Roma ha archiviato le posizioni di Conte e di altri ex esponenti dell'esecutivo
I giorni del dolore a Bergamo nel marzo del 2020

I giorni del dolore a Bergamo nel marzo del 2020 - Reuters / Flavio Lo Scalzo

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Di fascicolo in fascicolo, l’indagine sulla gestione della pandemia da Covid-19 si allarga e da Bergamo raggiunge Roma. Per competenza territoriale, infatti, alcuni atti della Procura bergamasca sono stati trasmessi nella Capitale e chiamano in causa gli ex ministri della Salute Roberto Speranza (2019-2022), Giulia Grillo (2018-2019) e Beatrice Lorenzin (2013-2018). Insieme con loro alcuni direttori generali e alti funzionari del ministero della Salute. Le contestazioni agli ex ministri riguardano il mancato aggiornamento del piano pandemico (fermo al 2006). Quelle ai funzionari invece le false dichiarazioni all’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) tra il 2017 e il 2020 su dati che dovevano “discendere” da un piano pandemico aggiornato e informare sulla capacità di risposta del nostro Paese alla diffusione di un agente infettivo.

Intanto, in una differente indagine, ieri il tribunale dei ministri di Roma ha archiviato la posizione dell’ex presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e degli ex ministri Luciana Lamorgese (Interno), Roberto Speranza (Salute), Lorenzo Guerini (Difesa), Luigi Di Maio (Esteri), Roberto Gualtieri (Economia) e Alfonso Bonafede (Giustizia) che erano indagati a causa di alcune denunce relativamente alla gestione della pandemia che erano state presentate da associazioni di familiari delle vittime, consumatori e alcuni sindacati.

Sono invece undici complessivamente le posizioni trasmesse nel novembre scorso dalla Procura di Bergamo a quella di Roma: omissione di atti d’ufficio è l’ipotesi di reato per gli ex ministri Speranza, Grillo e Lorenzin, per non aver provveduto all’aggiornamento del piano pandemico e omesso di definire i piani nel dettaglio. Insieme con gli ex ministri sono indatati Giuseppe Ruocco (direttore generale della Prevenzione sanitaria dal 2012 al 2014 e segretario generale del ministero dal 2017 al 2021); Ranieri Guerra (direttore generale della Prevenzione sanitaria dal 2014 al 2017), Maria Grazia Pompa (direttrice fino al 2016 dell’Ufficio 5 Malattie infettive della direzione Prevenzione sanitaria), Francesco Paolo Maraglino (direttore dello stesso uificio dal 2016).

Con l’ipotesi di reato di “falsità ideologica” in relazione ai «dati falsi comunicati all’Oms e alla Commissione Europea attraverso appositi questionari» sono indagati: Ranieri Guerra; Claudio D’Amario (direttore generela della Prevenzione nel 2020); Francesco Paolo Maraglino; Loredana Vellucci; Mauro Dionisio. Viceversa con l’ipotesi di reato di “truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche” è indagato il presidente dell’Istituto superiore di sanità (Iss) Silvio Brusaferro.

Giulia Grillo, ministro della Salute del primo governo Conte, ieri ha dichiarato di non essere stata informata dell’avviso di garanzia: «Non so nulla, dunque non posso rilasciare dichiarazioni». Dai verbali emerge che ai pm di Bergamo il 3 marzo 2021 dichiarò che «l’attività di aggiornamento del piano pandemico aveva natura prettamente tecnica e pertanto era di competenza dei vari dirigenti presenti in seno al Ministero». Nelle riunioni al ministero «nessuno mi ha rappresentato la necessità di aggiornamento del piano pandemico o della necessità di destinare dei fondi a tale scopo». Dichiarazioni analoghe a quelle formulate da Roberto Speranza.

Dai verbali della testimonianza di Beatrice Lorenzin ai pm di Bergamo il 3 marzo 2021 emerge che l’ex ministro dichiarò che quando era «scoppiata la pandemia io credevo che già ci fosse il nuovo piano pandemico», perché alla fine del 2017 Ranieri Guerra «mi aveva informato che avrebbe predisposto un nuovo piano pandemico». Anche Lorenzin dichiarò che, quando divenne ministro, non fu «notiziata» dagli uffici ministeriali della necessità di aggiornare il piano pandemico, che risaliva al 2006.

Dai verbali dei pm di Bergamo emerge anche che l’allora vice ministro alla Salute, Pierpaolo Sileri (non indagato), sin dall’11 febbraio 2020, quindi dieci giorni prima della scoperta del “paziente 1” a Codogno, aveva chiesto di «effettuare una ricognizione sui reparti di malattie infettive esistenti, sul numero dei posti letto dedicati 24ore su 24, sul numero dei respiratori e di personale disponibile». Sileri era reduce da un viaggio in Cina, e si rivolgeva alla task force subito istituita dopo la dichiarazione dello stato di emergenza il 31 gennaio. La risposta di Giuseppe Ruocco, segretario generale del ministero (tra i 19 indagati dell’inchiesta bergamasca) sarebbe stata che era «sufficiente» una «mappatura rispetto ad uno scenario di bassa gravità». Sentito dai pm il 18 gennaio 2021, Ruocco spiegò che «i resoconti venivano redatti da funzionari del Gabinetto del Ministero e non ci venivano trasmessi e dico che potrebbero anche contenere inesattezze». E che «si stava già provvedendo ad effettuare una mappatura della rete». Agostino Miozzo, componente del Cts (e tra gli indagati) confermò che Sileri aveva posto quelle domande, ma che nella task force «non ci fu una specifica discussione sul punto, né furono in quella sede assunte inziative». Anche il direttore scientifico dello Spallanzani, Giuseppe Ippolito (indagato), avrebbe minimizzato le preoccupazioni, dicendo il 7 febbraio 2020 che «il virus non è arrivato in Italia».

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