giovedì 17 febbraio 2022
Uno studio finanziato dall’Ue dimostra l’impatto sulle funzioni neurologiche e i ritardi nel linguaggio dell’esposizione prenatale a vari composti. «Ora nuove norme sulle valutazioni dei rischi»
Così un mix di sostanze chimiche danneggia lo sviluppo dei bambini

Foto Reuters

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«Una pietra miliare per la tutela della salute pubblica». Non usano mezzi termini gli scienziati nel definire gli esiti del poderoso studio europeo, appena pubblicato sulla rivista scientifica Science, che mette in relazione l’esposizione ad un mix di sostanze chimiche ambientali al rischio di deficit neurologico nei bambini, in particolare nel ritardo nel linguaggio. La ricerca ha implicazioni enormi e pone le basi per una revisione radicale delle politiche nazionali e internazionali delle valutazioni del rischio chimico, finora basate solo sull’esame di singole sostanze e non di loro miscele. Perché sta proprio qui la grande novità di questo lavoro: le valutazioni dei rischi di salute pubblica da esposizioni ambientali andranno fatte considerando l’interazione di più elementi che, interferendo col nostro sistema endocrino, può provocare danni molto rilevanti e poco indagati.

Almeno sinora. Da quando cioè, rispondendo alle domande avanzate da numerose agenzie regolatorie dei farmaci, l’Unione Europea ha finanziato il progetto Edc-MixRisk, coinvolgendo 15 istituti di ricerca e atenei del vecchio continente: sette svedesi (tra i quali il Karolinska Institutet e l’Università di Stoccolma), il francese Cnrs-Muséum d’histoire naturelle, l’Istituto finlandese per la salute e il benessere, l’Università di Lipsia (Germania), l’Università capodistriana di Atene, l’Università di Edimburgo (Regno Unito) e, per l’Italia, tre centri milanesi: Human Technopole (Ht), Istituto europeo di oncologia (Ieo) e Università degli studi. Al team europeo si è unita anche la statunitense Icahn School of Medicine at Mount Sinai di New York.

Ogni anno una vasta gamma di prodotti, dai derivati plastici, fino ai cosmetici e ai pesticidi, entra in commercio. Sono composti chimici che penetrano nel corpo umano attraverso acqua, cibo e aria. «Sebbene per le singole sostanze i livelli di esposizione sono spesso al di sotto del limite stabilito – spiega una nota dei ricercatori –, l’esposizione alle stesse sostanze in miscele complesse, può avere un impatto negativo sulla salute umana». Valutazioni e rischi attuali «si basano sull’esame delle singole sostanze. Era quindi essenziale trovare una strategia alternativa di valutazione del rischio», che consentisse «di testare in ambito epidemiologico e sperimentale i mix di sostanze cui siamo di fatto esposti. Il progetto Edc-MixRisk ha dato una risposta».

Lo studio è stato condotto in tre fasi: la prima ha seguito 2.000 donne dall’inizio della gravidanza all’età scolare dei bambini, identificando un mix di sostanze chimiche nel sangue e nelle urine delle gestanti – ftalati, bisfenolo A (Bpa) e composti perfluorurati (Pfas) –, associato a un ritardo nello sviluppo del linguaggio nei bimbi all’età di 30 mesi. In una seconda fase sono stati scoperti i bersagli molecolari attraverso i quali questo mix alterava i circuiti endocrini e dei geni coinvolti nell’autismo e nella disabilità intellettiva. Infine, i risultati delle ricerche sperimentali sono stati utilizzati per sviluppare metodi di valutazione del rischio specifici per il mix di sostanze. Grazie a queste nuove soglie di rischio, è emerso come fino al 54% delle gestanti fosse state esposte a un aumentato pericolo di ritardo del linguaggio nei nascituri. Per Giuseppe Testa, docente di Biologia molecolare alla Statale di Milano, direttore del Centro di Neurogenomica di Ht, group leader all’Ieo, e tra i responsabili dello studio, «è ora improcastinabile un adeguamento legislativo che rispecchi il nuovo quadro evidenziato per la prima volta in modo sistematico dai nostri dati. La sua unicità sta inoltre nell’aver dimostrato la fattibilità e l’efficacia della sinergia fra studi di popolazione e di laboratorio: un nuovo metodo che potrà essere applicato ad altri temi di salute pubblica».

«Abbiamo integrato le evidenze epidemiologiche sul mix di interferenti endocrini con la comprensione dei suoi meccanismi d’azione - evidenziano Nicolò Caporale e Cristina Cheroni, tra i primi autori dello studio -, facendo luce su come agisce sul cervello umano e in che modo può creare danni. Pensiamo che uno dei potenziali della nostra ricerca sia di inaugurare una nuova tossicologia a sostegno della politica ambientale europea». Dal canto suo l’Ieo, per bocca del direttore scientifico Roberto Orecchia, si dice «orgoglioso di aver contribuito a questo importantissimo studio, mettendo a disposizione la struttura di ricerca avanzata». Con questo lavoro, dichiara il prorettore dell’Università di Milano, Maria Pio Abbracchio, viene dimostrato che «esattamente come avviene per i farmaci, basse dosi di un singolo agente interferente» possono interagire con altre sostanze, «inducendo effetti anche a dosaggi apparentemente non tossici». Lo studio introduce inoltre «un metodo affidabile per la valutazione della complessità del rischio, rivoluzionando il concetto di dose tossica minima per le singole sostanze chimiche».

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