mercoledì 11 settembre 2024
La Camera boccia tutti gli emendamenti delle opposizioni per la modifica della legge sulla cittadinanza. Così il Parlamento rinuncia al suo ruolo costituzionale
I deputati di Avs protestano contro il no allo Ius scholae

I deputati di Avs protestano contro il no allo Ius scholae - Ansa

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La riforma che non c’è. La Camera ha bocciato tutti gli emendamenti delle opposizioni sulla modifica della legge sulla cittadinanza, compreso quello di Azione che proponeva lo ius scholae, ovvero l'acquisizione della cittadinanza per i minori figli di immigrati dopo un ciclo scolastico di 10 anni. I no sono stati 169, 126 i sì e 3 gli astenuti. Anche Forza Italia ha votato contro. Gli azzurri hanno ribadito, con un intervento di Paolo Emilio Russo, che sono al lavoro su una proposta di legge in materia. «Si tratta - ha detto Russo - di un tema che merita più attenzione di un emendamento infilato all'ultimo un un provvedimento che parla di sicurezza». Il voto è stato a scrutinio palese dopo il no alla richiesta delle opposizioni di voto segreto. Tra gli emendamenti dell’opposizione bocciati, quelli del Pd sullo ius soli temperato e sullo ius scholae a 5 anni e quello di +Europa che riproponeva il referendum sulla cittadinanza. Pd e Avs hanno votato anche tutti gli emendamenti degli altri gruppi in materia.

In casi come il siluramento degli emendamenti su Ius scholae e Ius culturae, andato in scena ieri alla Camera, la parafrasi letteraria è scontata ma ci sta tutta. Anche più d’una, in questa occasione: è stata infatti la cronaca di un nulla di fatto annunciato, è stato molto rumore per nulla, ma è stata soprattutto la fine di un sogno di mezza estate. In particolare, del sogno di un Parlamento che finalmente si riappropriasse pienamente delle sue prerogative costituzionali di sede in cui si confrontano le diversità di vedute e, quando si può, si trova un punto d’incontro per il bene comune, che è sempre superiore a quello delle parti. Un Parlamento in cui maggioranza e opposizione, o soltanto parti di esse, possano convergere su provvedimenti ritenuti utili al Paese. FdI e Lega, ai quali l’apertura di Forza Italia sulla riforma della cittadinanza non andava a genio, hanno obiettato che il tema «non è nel programma di governo» e perciò non andava affrontato. Al contrario: proprio perché non è nel programma di governo, i gruppi parlamentari avrebbero potuto agire e votare liberi da vincoli di maggioranza. Altrimenti si nega la natura stessa del Parlamento, per altro da anni compresso nel ruolo di luogo dove si convertono in legge i decreti del governo di turno e dove si votano ddl di iniziativa governativa blindati dalla questione di fiducia. È stato detto che l’emendamento presentato da Azione, che ricalcava in tutto la proposta spiegata dal segretario azzurro Antonio Tajani nelle scorse settimane, era una «provocazione» per dividere gli alleati di centrodestra. Però era sicuramente un’occasione per dare a centinaia di migliaia di “già italiani” il giusto riconoscimento della loro cittadinanza. Proprio il leader di Azione, Carlo Calenda, ha ricordato un pensiero di Luigi Einaudi: «L’obiettivo dell’opposizione è quello di vedere approvato almeno un emendamento». Ieri poteva succedere. Forza Italia non lo ha consentito, ma ha annunciato che tornerà sul tema presentando un proprio testo. In attesa di vedere se davvero accadrà (e se sarà in questa legislatura), non resta che auspicare che, nel caso, le attuali forze di opposizioni trovino il coraggio di sfuggire alla tentazione di rendere pan per focaccia. Per rispetto di quelle centinaia di migliaia di “già italiani”.

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