mercoledì 4 ottobre 2023
Due capitoli dell’Esortazione sono dedicati ai vertici Onu sul clima, le cosiddette Cop. Quella in programma per dicembre può essere un punto di svolta se imporrà vincoli di transizione energetica
Il logo della Cop28 di Dubai

Il logo della Cop28 di Dubai - Epa

COMMENTA E CONDIVIDI

Due capitoli dell’Esortazione “Laudate Deum” sono dedicati ai vertici Onu sul clima, le cosiddette Cop, ovvero Conferenze dei firmatari della Convezione quadro sui cambiamenti climatici approvata nello storico summit di Rio del 1992. Da allora, ogni anno, gli i 197 Paesi parte del trattato più l'Ue si incontrano per fare il punto sulla situazione e cercare di portare avanti politiche comuni per arginare il riscaldamento globale sempre più accelerato. Una conseguenza quest’ultima dell’inquinamento prodotto dall’attività umana, come gli scienziati ripetono da tempo e le stesse Nazioni Unite hanno certificato nell’ultimo rapporto dell’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc). In particolare, proprio a settembre è arrivata la nuova conferma, che il principale problema è l'impiego delle fonti fossili, da cui deriva ancora l’80 per cento della produzione di energia.

Dopo aver sintetizzato luci e ombre degli ultimi ventun anni di diplomazia climatica, papa Francesco conclude il capitolo 4 con questa drammatica presa di coscienza: «Gli accordi hanno avuto un basso livello di attuazione perché non si sono stabiliti adeguati meccanismi di controllo, di verifica periodica e di sanzione delle inadempienze. I principi enunciati continuano a richiedere vie efficaci e agili di realizzazione pratica. Inoltre, i negoziati internazionali non possono avanzare in maniera significativa a causa delle posizioni dei Paesi che privilegiano i propri interessi nazionali rispetto al bene comune globale. Quanti subiranno le conseguenze che noi tentiamo di dissimulare, ricorderanno questa mancanza di coscienza e di responsabilità».

A questo punto si apre la parte successiva, che ha per titolo un interrogativo cruciale: «Che cosa ci si aspetta dalla Cop28 di Dubai?». Che cosa, cioè, possono attendersi da quest’ennesima riunione di grandi leader in programma tra fine novembre e dicembre, ospitata oltretutto da una delle principali potenze petrolifere mondiali, la terra sempre più sofferente e i suoi abitanti, in particolare quanti, privi di risorse, non riescono a difendere se stessi e le loro precarie economie di sussistenza da siccità prolungate, alluvioni impreviste, uragani fuori controllo? Che cosa possono sperare quanti in ogni parte del pianeta credono e agiscono perché l’umanità abbia vita e vita degna? Che cosa devono fare quanti sentono affidato ad essi il mandato biblico di custodire il Giardino sognato e plasmato da Dio?

Francesco, dunque, con questa “incursione” nei negoziati internazionali sul clima non è andato fuori tema dal suo ruolo di pastore al servizio del Vangelo. Al contrario, ha centrato il punto. L’emergenza climatica è segno dei tempi, per impiegare un linguaggio conciliare. Che, tradotto, significa cartina di tornasole delle molteplici crisi in atto. Tragedie di portata tale – spostamenti forzati di popolazione, conflittualità crescente, incremento delle malattie – da minacciare seriamente la sopravvivenza degli esseri umani.

In questo contesto, la Cop28 appare se non come l’ultima chiamata, di certo come una delle poche finestre di opportunità ancora disponibili. Le premesse non sono le migliori. «Le compagnie petrolifere e del gas ambiscono lì a nuovi progetti per espandere ulteriormente la produzione» scrive il Pontefice. Dire, tuttavia, che non bisogna aspettarsi nulla «sarebbe autolesionistico, perché significherebbe esporre tutta l’umanità, specialmente i più poveri, ai peggiori impatti del cambiamento climatico». Il vertice di Dubai «può essere un punto di svolta, comprovando che tutto quanto si è fatto dal 1992 era serio e opportuno, altrimenti sarà una grande delusione e metterà a rischio quanto di buono si è potuto fin qui raggiungere». Non si può continuare a “rattoppare”, a «fingersi sensibili al problema e non avere il coraggio di effettuare cambiamenti sostanziali» nascondendosi dietro gli ingenti costi necessari per attuarli perché «essi saranno tanto più pesanti quanto più aspetteremo». A scandalizzarsi ipocritamente per le azioni dei cosiddetti “gruppi radicalizzati” quando, in realtà, «essi occupano un vuoto della società nel suo complesso, che dovrebbe esercitare una sana pressione, perché spetta ad ogni famiglia pensare che è in gioco il futuro dei propri figli». La Cop28 non sarà un’altra occasione perduta e ripristinerà la credibilità della politica internazionale solo se garantirà «delle forme vincolanti di transizione energetica che abbiano tre caratteristiche: che siano efficienti, che siano vincolanti e facilmente monitorabili». Questo attende papa Francesco dal summit di Dubai. E con lui tutte le donne e gli uomini di buona volontà a cui è cara la vita, propria e altrui.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: