Cosa fare ora per l'energia
venerdì 26 agosto 2022

Sappiamo ormai tutti come il prezzo di mercato del gas sia quasi decuplicato rispetto ai livelli dello scorso anno, avviando un processo inflattivo importante che sta erodendo il valore di salari e risparmi, aumentando la quota di famiglie a rischio povertà e mettendo in difficoltà imprese e posti di lavoro. Tutto è accaduto in modo molto rapido, tra la fine della fase più acuta della pandemia in Occidente e l’invasione russa dell’Ucraina.

In questi giorni di campagna elettorale si torna a parlare da più parti dell’opportunità di mettere un tetto al prezzo del gas ( price cap) come se si trattasse di una soluzione magica in grado di risolvere il problema. In economia in realtà non esistono pasti gratis e il price cap qualcuno deve pagarlo. Per capire di cosa si tratta bisogna innanzitutto spiegare in modo più semplice possibile le dinamiche dei prezzi di questo mercato. Le forniture di gas sono vendute alle compagnie (che poi cedono il gas a famiglie e imprese, al prezzo di mercato di oggi) dai Paesi produttori (Russia, Algeria, Azerbaigian...) principalmente con contratti di lungo termine a prezzi definiti dalle parti che non vengono resi pubblici. È ragionevole pensare che i prezzi su questi contratti perfezionati in tempi meno recenti siano assai più bassi dei prezzi di mercato attuali, pur contenendo elementi di condivisione del rischio degli andamenti di prezzo tra le parti (indicizzazione a paniere beni petroliferi, clausole take-or-pay, ovvero si paga il pattuito anche se non si acquista più la stessa quantità di prodotto). Le dinamiche dei profitti di quest’ultimo anno delle compagnie petrolifere indicano che molto probabilmente è così.

Data questa situazione, per price cap si intende l’obiettivo di alleviare il peso di famiglie e imprese facendo pagare loro un prezzo ragionevole (amministrato o deciso dallo Stato). Il problema è chi paga la differenza tra il prezzo spot di mercato di oggi e il prezzo amministrato. Una prima possibilità suggerita da molti è che lo paghi la Russia. Ovvero costringere la Russia a farsi pagare dalle nostre compagnie petrolifere il prezzo amministrato e non quello di mercato.
Vista la struttura del mercato, già questo passaggio è complicato per vari motivi.

Come detto sopra, è possibile che già i contratti di lungo periodo tra Paesi fornitori e compagnie petrolifere siano stati stipulati a prezzi più bassi di quelli di oggi. Se così non fosse, comunque si vorrebbe che lo Stato italiano fissasse una regola di prezzo massimo in una contrattazione privata tra una compagnia nazionale partecipata e un Paese straniero. Tutto questo presuppone una prova di forza (per interposta persona) tra l’Italia e la Russia. Ma in questo braccio di ferro il braccio più forte è quello di chi ha meno da temere da una rottura del rapporto. E la 'democratura' russa che vende gas e petrolio in tutto il mondo, e ha aperto nuovi canali per diversificare i mercati di sbocco, sembra avere molto più potere contrattuale di una democrazia come la nostra dove il solo annuncio di chiusura del rubinetto per lavori di manutenzione per qualche giorno provoca impennate dei prezzi del gas mettendo nei guai famiglie e imprese.

Si può anche pensare che se il braccio di ferro fosse tra Unione Europea e Russia il potere contrattuale della prima sarebbe maggiore (non necessariamente superiore a quello della Russia), ma si sottovalutano le difficoltà per arrivare a una voce univoca tra Paesi che hanno vantaggi e svantaggi molto differenti in questa situazione. La Germania in primis resiste a quest’ipotesi perché, data la sua forte dipendenza dal gas russo, sarebbe la prima a subire conseguenze negative in caso di reazione russa e chiusura dei rubinetti.

La seconda possibilità è che lo Stato italiano paghi in toto la differenza tra prezzo di mercato e prezzo amministrato sussidiando la differenza a famiglie e imprese. Ma questo, per motivi di bilancio pubblico, è impossibile nel medio termine. La terza possibilità è che lo Stato italiano faccia questa stessa operazione, rivalendosi sugli extra profitti delle imprese petrolifere (che indicherebbero che alla fine i maggiori benefici delle dinamiche del prezzo del gas siano stati proprio di queste compagnie). Ma questo è esattamente ciò che il governo Draghi ha già tentato di fare in questi mesi, seppur in forma limitata e non sistematica, e non senza difficoltà. Mentre viviamo quest’emergenza e passiamo gran parte del nostro tempo a parlare di fantasiose e irrealizzabili utopie di price cap osserviamo un silenzio assordante sulle soluzioni a portata di mano. Per costruire un centrale nucleare in Italia (convincendo la popolazione del Comune che la ospiterà) e farla funzionare ci vorrebbero almeno 10 anni, per utilizzare nuovi giacimenti di gas scoperti (dove bisogna stabilire come estrarre e come trasportare) almeno 5 anni (senza contare gli effetti sul clima).

Perché un’azienda autoproduca energia mettendo pannelli sui propri capannoni bastano 1-2 mesi. Un governo responsabile stabilirebbe che da domani gli edifici pubblici devono metter su impianti fotovoltaici (i tetti larghi e piatti delle scuole sono perfetti), incentiverebbe con più decisione gli investimenti per le aziende che intendono autoprodurre energia, darebbe immediato impulso regolamentare alla nascita di comunità energetiche. Nella misura della quota di energia autoprodotta e consumata, famiglie e imprese sarebbero libere dalle dinamiche del prezzo del gas beneficiando dell’equivalente di un super-price cap. Eccellente pertanto la notizia del varo di un decreto del governo con 3,4 miliardi di aiuti a imprese con progetti che riducono le emissioni di CO2 e tagliano consumi di energia applicando il Temporary Framework europeo. Mentre sono in azione le armi di distrazione di massa della comunicazione, le aziende che hanno capito e si muovono autonomamente (e non sono poche) sono quelle che sopravviveranno meglio a questa stagione. Come cittadini e famiglie dipendiamo però anche dalle scelte della politica e speriamo che tra i partiti candidati alle prossime elezioni ci sia un po’ di saggezza nell’indicare queste soluzioni. Per ora non ne vediamo traccia.

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