domenica 1 luglio 2018
Silvano Pedrollo iniziò irrigando deserti per gli emiri. Ai missionari in tutto il mondo regala edifici per accogliere i poveri, pozzi, ospedali, scuole, chiese. Ma ha un sogno: «Donare molto di più»
L'acqua sgorga nella missione in Eritrea

L'acqua sgorga nella missione in Eritrea

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«Il mio sogno è triplicare». Silvano Pedrollo, leader mondiale nella produzione di pompe idrauliche e nella perforazione di pozzi, non sta parlando del fatturato e nemmeno di esportazioni: «Il mio obiettivo è triplicare le donazioni. I missionari ci chiedono poche pompe idrauliche eppure ne hanno un bisogno estremo, il tam tam non basta. Voglio dare di più, quello che faccio è troppo poco...». Se non fosse che lo avevamo già incontrato dieci anni fa, stenteremmo a crederci, troppo bello per essere vero. Ma siamo tornati dall’imprenditore veronese per vedere cosa ne era stato di quel miracolo umano di solidarietà estesa in tutto il mondo, e da allora Pedrollo ha continuato ad erigere ospedali, chiese, scuole, case d’accoglienza, scavare pozzi, irrigare deserti, far rinascere foreste, soprattutto far sgorgare l’acqua là dove non ce n’era traccia e ogni forma di vita moriva.

«L’acqua è ovunque, bisogna solo andarla a scavare in profondità. È perfettamente inutile mandare antibiotici per curare le malattie causate dall’acqua infetta, come fanno molti governi: la cosa da fare è dotare i villaggi di fonti di acqua pura, così si risolve in un colpo l’80% dei problemi. La gente ci mette un po’ ad abituarsi all’acqua pulita perché è insapore – sorride –, ma presto cambia tutto, i bambini smettono di morire come mosche, nel deserto nascono le piantagioni, gli adulti hanno un lavoro, sorgono le case, aprono le scuole e da lì tutto migliora».

Il bene va fatto bene, si dice, e Silvano Pedrollo (Cavaliere del Lavoro, sei lauree honoris causa) unisce esperienza imprenditoriale a concretezza veneta, operando in tre filoni d’azione, «i bisogni materiali, quelli spirituali e quelli culturali», ovvero costruisce strutture per dare un tetto ai poveri, chiese e scuole per la formazione dei giovani: «Sono certo che questi interventi contribuiscano in larga parte a ridare speranza ai nostri fratelli», spiega Pedrollo. Basta sfogliare il catalogo delle opere che ha già portato in Africa, Asia, nelle Americhe e in Europa, una vera enciclopedia di come sia possibile cambiare il mondo (era di cento pagine dieci anni fa, oggi ne ha 270, dalla A di Albania alla Z di Zimbabwe), con fotografie di acqua che sgorga improvvisa più preziosa del petrolio («abbiamo imparato a usarla con parsimonia, col suo scendere e versarsi sottile e calmo, quasi come un condimento prezioso...», gli ha scritto un missionario), frotte di bambini con le braccia alzate sotto quello scroscio inaudito, uomini e donne increduli: «Lavoro so- lo con i missionari perché so dove vanno a finire i soldi e riescono a fare cose incredibili, le suore poi non le ferma nessuno».

I primi a bussare sono stati i comboniani, poi sono arrivati i salesiani, i camilliani, le canossiane, i cappuccini, i padri della Consolata... Pedrollo sovvenziona i lavori richiesti e fornisce le elettropompe, oltre ai generatori di corrente per farle funzionare, ma per le missioni che non hanno nemmeno il cherosene per i generatori ha progettato speciali pompe a pannelli solari, «così l’acqua va tutto il giorno e con l’energia accumulata fanno andare i frigoriferi la notte». Se lui da solo ha donato l’acqua a due milioni di persone, quanto costerebbe ai potenti della terra portare il progresso ai popoli costretti a migrare o soccombere? 'Aiutarli in casa loro' in bocca a Pedrollo non è uno slogan autoassolutorio, ma un format di successo. Centinaia gli esempi: grazie a lui in Angola le suore canossiane hanno fondato due scuole di Informatica ed Economia domestica per ragazze, in Uganda 1.500 giovani studiano in un elegante college con laboratorio di chimica e dormitorio per 450 maschi e 400 femmine non abbienti, in India le elementari e le medie perfettamente attrezzate dei padri camilliani assicurano istruzione, salute e nutrimento a 1.500 bambini...

Le foto del prima e del dopo in Bangladesh come in Tanzania mostrano le metamorfosi da baracche indegne a istituti modello, lo stesso per le chiese sorte un po’ ovunque, i dispensari e i centri per lo sviluppo della donna, gli orfanotrofi e le mense. La nostra domanda («e tutto questo in dono? ») quasi indigna Pedrollo: «Certamente. Rispetto a quanto ho ricevuto faccio anche poco, lo affermo con la coscienza e con il cuore». Il Gruppo Pedrollo fattura 230 milioni, esporta pompe in 160 Paesi e dà lavoro a 800 persone (10% stranieri). Il sogno è iniziato 40 anni fa quando il giovane Pedrollo, in tasca un diploma in elettrotecnica e non un soldo, intuì che il futuro era nell’acqua. Dubai, oggi avveniristica babele di grattacieli, era un desolato deserto, «quando promisi agli emiri arabi di farvi sgorgare l’acqua mi diedero carta bianca e lettere di credito».

Iniziava la grande ascesa e il mondo si accorse di lui. In Bangladesh, dove le donne percorrevano chilometri al giorno per attingere acqua sporca, un uomo gli propose un patto, «inventa una pompa che costi pochissimo e ne venderemo migliaia ». Pedrollo ne costruì una che costava come due pizze e pompava mille litri al minuto. Quell’anno in Bangladesh i raccolti di riso furono tre anziché due. Ma a Pedrollo non bastava cambiare il mondo per lavoro, «un cristiano di fronte alla povertà non può girarsi dall’altra parte, la solidarietà è un impegno», così fu proprio in Bangladesh che, colpito dalla miseria, decise che con gli utili di quelle pompe avrebbe costruito una scuola per mille ragazze. «All’inizio decidevo io a chi dare aiuti, ma che diritto ho di scegliere chi merita? Alla fine li aiuti tutti e non te ne vanti». Dentro gli risuona sempre il consiglio che suo zio gli diede agli esordi, 'ti occuperai di pompe idrauliche? vedrai quanto bene farai'. «Allora non capii, che bene potevo fare con delle pompe?...».

Quello zio era don Luigi Pedrollo, il cui processo di beatificazione si è aperto pochi giorni fa. Era il collaboratore stretto di san Giovanni Calabria, fondatore della Congregazione dei Poveri Servi e delle Povere Serve della Divina Provvidenza, «da bambino li vedevo sempre insieme, e ricordo fratel Vittorino, l’economo della congregazione, che la sera si affacciava preoccupato perché non c’era nulla da dare per cena ai loro piccoli, ma mio zio restava tranquillo, 'va bene, andiamo in chiesa a pregare', sapeva che la Provvidenza non manda indietro a mani vuote». È lo stile di vita su cui Silvano Pedrollo ha fondato le sue imprese e nel quale coinvolge i dipendenti. Insieme ai figli Alessandra e Giulio, rispettivamente managing director e general manager, ha deciso di non incassare gli utili, ma reinvestirli in azienda per incrementare le tecnologie e garantire serenità alle famiglie dei lavoratori: «In 43 anni mai un giorno di cassa integrazione – asserisce –, anche durante la crisi ho promesso loro che piuttosto avrei riempito i magazzini di merce invenduta, ma nessuno avrebbe perso il posto».

A metà tra padre e datore di lavoro, ogni volta che ha visto i 'suoi' ragazzi pagare mutui da usura è intervenuto personalmente e ora possiedono tutti la casa, «anche i nostri immigrati, altrimenti è caos, non accoglienza». Forse è questa l’impresa più alta, impegnare nella sua rivoluzione le famiglie di chi lavora con lui. È qualcosa di speciale vedere la figlia Alessandra, laureata in Economia e Commercio, catechista come sua madre, mentre in Tanzania nella missione della Consolata di 'Baba' Camillo Caliari, o in India nella Children’s Home del camilliano padre Sibi, consegna a centinaia di bambini i doni di Natale confezionati con le loro mani dai figli dei dipendenti della Pedrollo. Ogni piccolo italiano ha costruito (non comprato) il giocattolo per quello specifico bambino, e Alessandra sull’iPad mostra a ognuno il video-saluto registrato per lui in Italia. Brillano tutti, gli occhi dei bambini, sia che donino sia che ricevano. Quelli di Pedrollo, che non si è ancora assuefatto, si fanno lucidi. L’unico suo dolore, che poi è l’appello che ci affida, è l’Eritrea, dove il regime ha chiuso la sua grande scuola salesiana di formazione ed espulso tutti i missionari: «Non riesco più in nessun modo a mandare aiuti e i bambini muoiono per strada, è uno scandalo mondiale, come si fa a tacere? Vi prego, non restiamo indifferenti».

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