mercoledì 15 dicembre 2021
La Corte di giustizia dell'Unione Europea accoglie il ricorso di due donne (una spagnola e l'altra bulgara): gli Stati devono accettare che un bambino abbia madri o padri dello stesso sesso
La Corte di giustizia dell'Unione Europea

La Corte di giustizia dell'Unione Europea - Ansa

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Che la legge nazionale lo preveda o meno, ogni Stato membro dovrà accettare che un bambino abbia due genitori dello stesso sesso se così è indicato nello Stato di famiglia emesso da un altro Paese dell’Ue. È una sentenza destinata a fare storia quella emessa ieri dalla Corte di giustizie Ue, che ha dato così ragione al ricorso di due donne, che si sono sposate in Spagna nel 2018.

Una è britannica, l’altra bulgara, residenti dal 2015 in Spagna. Le due hanno una bambina, nata nel 2019, il documento spagnolo riconosce entrambe come madri, senza specificare quale sia quella biologica. La coniuge bulgara ha chiesto alle autorità del suo Paese di trascrivere nell’anagrafe della capitale Sofia la bambina. Ma la Bulgaria non riconosce il matrimonio di persone dello stesso sesso, e l’atto di nascita locale prevede come genitori solo «padre» e «madre». Per questo il Comune ha chiesto una prova della genitorialità biologica di una delle due donne. La bulgara ha rifiutato, l’atto di nascita è stato rifiutato.

La vicenda è così finita di fronte al tribunale amministrativo di Sofia, che si è rivolto alla Corte Ue. La quale ha dato ragione alle due donne. Secondo i giudici europei, trattandosi di un minore cittadino Ue (la Bulgaria fa parte dell’Unione), lo Stato membro di cui è cittadino «è tenuto a riconoscere, come ogni altro Stato membro, il documento promanante dallo Stato membro ospitante che consente a detto minore di esercitare, con ciascuna di tali due persone, il proprio diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri».

La Corte ricorda che il trattato Ue riconosce tra i diritti dei cittadini quello di condurre una normale vita familiare sia nello Stato membro ospitante, sia in quello di cui possiedono la cittadinanza, il che prevede la possibilità di portare con sé i propri familiari. Dunque, afferma la Corte, «dal momento che le autorità spagnole hanno accertato legalmente l’esistenza di un rapporto di filiazione, biologica o giuridica, tra S.D.K.A. (la bambina ndr) e i suoi due genitori, attestato nell’atto di nascita rilasciato per il minore, V.M.A. e K.D.K (le due donne ndr), in quanto genitori di un cittadino dell’Unione minorenne di cui hanno la custodia effettiva, devono quindi vedersi riconosciuto da tutti gli Stati membri», in applicazione del Trattato Ue, «il diritto di accompagnare quest’ultimo nell’esercizio dei suoi diritti».

Almeno, i giudici ribadiscono in linea di principio che «lo status delle persone rientra nella competenza degli Stati membri, che sono liberi di prevedere o no, nel loro diritto nazionale, il matrimonio tra persone dello stesso sesso e la genitorialità di queste ultime». Una prerogativa che però cessa in presenza di un certificato emesso da un altro Stato membro.

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