lunedì 10 febbraio 2025
Il governo punta a trasformare le strutture con un decreto-legge. FI cauta. L'Ue: gli accordi con i Paesi terzi rispettino il diritto. Ipotesi braccialetto elettronico per i richiedenti asilo
L'idea del governo: convertire i centri in Albania in Cpr. Cosa vuol dire

ANSA

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Il piano per trasformare i centri albanesi di Shengjin e Gjader in Cpr è già allo studio del governo, ma non tutti nella maggioranza ne sembrano entusiasti. Specie Forza Italia, che con il segretario Antonio Tajani e il viceministro della Giustizia, Francesco Paolo Sisto, consiglia prudenza.

Al di là delle perplessità azzurre, però, qualcosa il governo dovrà pur inventarsi perché, dopo le ennesime mancate convalide dei trattenimenti, le due strutture somigliano tanto a cattedrali nel deserto. Al momento non c’è un solo migrante e continuare a “spedirne” di nuovi non servirà a fermare ulteriori provvedimenti di impugnazione da parte della magistratura né tanto meno aiuterà a favorire quel ritorno al dialogo tra toghe e Palazzo Chigi che sia Giorgia Meloni sia Alfredo Mantovano hanno auspicato nei giorni scorsi.

Nel merito le opzioni a disposizione dell’esecutivo contemplano un decreto ad hoc (di cui però non c'è ancora una bozza) per trasferire in Albania i migranti già raggiunti da un provvedimento di espulsione, il che consentirebbe di saltare il passaggio per la convalida dei trattenimenti da parte della magistratura. Ma c’è anche un’altra ipotesi, forse più una suggestione, e cioè quella di affidare la giurisdizione dei centri al governo dell’Albania, con evidenti implicazioni non essendo Tirana ancora parte dell’Ue. Restando sul tema migranti, ma fuori dal “perimetro albanese”, c’è poi l’opzione del braccialetto elettronico per gli stranieri che arrivano in Italia e fanno richiesta di protezione internazionale. Una misura alternativa alla detenzione nelle strutture dedicate, pensata per evitare che i richiedenti asilo spariscano nel nulla una volta arrivati nel Paese. La possibilità è più di un’ipotesi e sarebbe contenuta in un emendamento del governo alla legge di delegazione europea all'esame del Senato. Per ora la Commissione Europea ha preferito «non commentare la discussione in corso a livello nazionale», ma ha fatto sapere di «essere in contatto con le autorità italiane», pur precisando di «non avere alcun ruolo» sulle eventuali modifiche al protocollo Roma-Tirana. In ogni caso, ha puntualizzato un portavoce di Palazzo Berlaymont, Bruxelles si aspetta che «questi centri prevedano forti garanzie per gli individui, accordi vincolanti con i Paesi terzi e il rispetto dei diritti fondamentali e del diritto internazionale».

Come detto, nella maggioranza si registra la cautela di Tajani («Vedremo») e quella di Sisto, convinto che «bisogna aspettare la sentenza della Corte di giustizia Ue e le pronunce della Cassazione» sulle recenti impugnative, perché «c'è la necessità di attendere e far stabilizzare l'intervento della giurisprudenza europea» prima di «assumere le conseguenti decisioni». Sul fronte opposto invece gli attacchi sono trasversali. Si va dai commenti del capogruppo dem in Senato, Francesco Boccia, che parla di «una follia per coprire un fallimento», a quelli del presidente M5s, Giuseppe Conte: «Meloni sta prendendo atto del fallimento del progetto. L’avevamo avvertita in tutti i modi: non funzioneranno». «Il governo si fermi – ha chiesto infine il capogruppo di Avs in commissione Affari costituzionali della Camera Filiberto Zaratti – prima di fare altre figuracce e sprecare altro denaro pubblico».

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