mercoledì 24 marzo 2021
Manca ancora il sì del Senato ma la legge-delega va in coda ai decreti d’emergenza. E resta il nodo delle risorse
Famiglia

Famiglia - Pixabay

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100 giorni per definire ed erogare l’assegno unico. Il nuovo sostegno universale per i figli dovrebbe partire da luglio ma a poco più di tre mesi dal via mancano ancora tre passaggi normativi per rendere effettivamente fruibili i 3 miliardi di euro per le famiglie stanziati dall’ultima legge di bilancio per il 2021. Fondi che altrimenti resteranno bloccati. Per evitarlo servono in sequenza l’approvazione definitiva della legge delega da parte del Senato, i decreti legislativi che dovrà approntare il governo e infine i decreti ministeriali per dettagliare le modalità pratiche di attuazione della misura.

Palazzo Madama, dopo l’approvazione all’unanimità della delega in Commissione, deve dare solo l’ultimo ok. Ma per ottenerlo, l’assegno unico dovrà mettersi in coda e attendere l’esame del Dl Sostegni, che approderà nei prossimi giorni in Senato, e probabilmente anche la seconda lettura del decreto Covid, ora alla Camera. I decreti hanno infatti la precedenza.

Superato questo step (l’approvazione in sé, dato il sostegno corale al procedimento, dovrebbe essere rapida e senza sorprese), i principi generali fissati dalla delega dovranno essere circostanziati dai decreti legislativi. Infine i ministeri interessati (Famiglia, Economia e Welfare) dovranno coordinarsi per il via libera ai decreti attuativi.

«Senza tutti e tre questi livelli – osserva Stefano Lepri, uno dei “padri” delll’assegno unico – la legge non parte. Purtroppo si sono persi almeno 4 mesi in Senato, prima perché alcuni membri della commissione del Senato erano positivi al Covid, poi per la crisi di governo. E ora serve un colpo di reni».

I timori delle associazioni familiari che non si riesca a rispettare i tempi promessi per il varo non sono quindi campati in aria. Anche se la volontà politica, del governo e della larga maggioranza che lo sostiene, è quella di rispettare le scadenze. Ieri mattina nel corso della riunione del gruppo parlamentare della Camera, racconta Lepri, il segretario del Pd Enrico Letta ha assicurato il pieno impegno del Pd per far partire «una riforma fondamentale» come quella dell’assegno per i figli.

L’altro timore riguarda invece i finanziamenti disponibili, che la legge di bilancio ha fissato in 6 miliardi l’anno dal 2022 (3 per il secondo semestre 2021) ma che a detta di molti addetti ai lavori non sono sufficienti a dare alla misura quella “stazza” capace di incidere sulle scelte delle famiglie e di contribuire a invertire la spirale negativa della denatalità (meno nati oggi sono anche meno mamme domani) in cui da anni si è avvitato il Paese. L’Italia è terz’ultima nella Ue per numero di figli per donna (1,27 nel 2019) e la pandemia ha ulteriormente peggiorato le cose.

La ministra per le Pari opportunità e la famiglia Elena Bonetti ha detto nei giorni scorsi di ritenere che si possa investire di più di quanto preventivato. Il governo prepara un nuovo scostamento di bilancio per aprile ma le esigenze dettate dall’emergenza covid avranno la precedenza su una riforma di carattere strutturale. Mentre per il 2022 eventuali nuovi fondi per l’assegno dovranno intersecarsi con la riforma fiscale.

Allo stato i 6 miliardi già messi a bilancio consentono di aumentare di poco meno del 50% le risorse che già oggi nel complesso vanno alle famiglie e ai figli: si tratta di 14 miliardi (destinati ora ai vari bonus, detrazioni e assegni familiari) che diventeranno 20. Le risorse in più devono garantire l’estensione degli aiuti a chi finora ne usufruiva solo in parte, come gli incapienti e i lavoratori autonomi (che non hanno gli assegni familiari). E aumentare il supporto economico per chi già lo aveva.

Il principio generale è più soldi a più famiglie, senza che nessuno, passando dai vecchi strumenti al nuovo assegno unico, ci rimetta. In base alle simulazioni compiute, dai circa 100 euro medi mensili a figlio che oggi rappresentano l’importo totale dei diversi contributi erogati alle famiglie, si potrebbe arrivare intorno ai 150 euro, sempre in media. Con una “forchetta” tra i 100 i 200 euro, graduati in base al reddito Isee e al numero dei componenti della famiglia. Un passo avanti necessario, anche sul piano simbolico. Ma non ancora risolutivo.

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