giovedì 29 agosto 2019
La strada è segnata, il premier sarà centrale sia nelle scelte sia nella comunicazione
Giuseppe Conte, in corsa per il governo numero due. Ma non bis (Ansa)

Giuseppe Conte, in corsa per il governo numero due. Ma non bis (Ansa)

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Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha conferito a Giuseppe Conte l'incarico di formare il nuovo governo. Lo ha annunciato il segretario generale della presidenza della Repubblica Ugo Zampetti. A breve interverrà il presidente del Consiglio incaricato.

«Ragazzi, mi affido a voi, trovatemi la chiave comunicativa giusta per spiegare questo governo al Paese...». Nelle ore che hanno preceduto l’avvio delle consultazioni da incaricato premier, Giuseppe Conte raduna il suo staff-comunicazione e gli affida un «lavoro speciale» che dovrà essere finito prima che il nuovo esecutivo venga "votato" su Rousseau: "governo del cambiamento" è stato uno slogan efficace, che ha funzionato, ora ne serve uno altrettanto chiaro e semplice. Il premier dà alcune parole chiave da sviluppare: servizio, bene comune, mani libere, fiducia...

È il segno di quanto il presidente del Consiglio stia "sul pezzo". Questo che sta nascendo è il "suo" governo. La strada è segnata, il premier sarà centrale sia nelle scelte sia nella comunicazione. E questo a prescindere che ci siano o meno due vicepremier. «Non è un ostacolo insormontabile...», fanno trapelare da Palazzo Chigi. Ora che la volontà politica di M5s e Pd si è palesata al Colle, non esistono più pretesti o veti che possano fermare il treno.

La soluzione che ha in mente Conte su questo nodo è piuttosto semplice: o due vicepremier o nessuno. Al momento, il premier uscente dimostra più gradimento per la seconda opzione che per la prima, anche perché la nascente partita vorrebbe giocarsela in pieno, senza ombre. Se si opterà per lo schema senza il doppio vice, Conte non utilizzerà come "materia di scambio" con il Pd il ruolo da sottosegretario a Palazzo Chigi. «Deve essere un uomo di mia assoluta fiducia», conferma il premier (il profilo sembra essere quello di Vincenzo Spadafora, grande tessitore dell’alleanza giallorossa). Piuttosto, al Pd verrà proposto un pacchetto di dicasteri più corposo, comprensivo del Tesoro.

Il fatto di doversi sbrigare in solitaria le maggiori rogne non preoccupa Conte. Il premier comprende il momento difficile che stanno vivendo Di Maio e il Movimento, ma se necessario non avrà timore nel chiedere un passo indietro al capo politico M5s. Fa scuola la nota informale inviata pochi giorni fa con cui Conte ha spazzato via il rumor secondo cui Di Maio voleva per sé il Viminale. Così come non teme, Conte, il passaggio su Rousseau. «Sarà un momento di rilancio dell’impegno del Movimento per il futuro del Paese, interpelleremo la nostra base sull’Italia che sogniamo», dicono con un filo di enfasi gli uomini della comunicazione pentastellata. Il premier ha già rassicurato Mattarella che quel passaggio non sarà lesivo delle prerogative del Colle e non metterà i bastoni tra le ruote alla nascita del governo. Non ci sarà, si spiega, un quesito «si o no», ci sarà una consultazione più generale, con la possibilità per gli utenti di scegliere tra varie opzioni. Un coinvolgimento sul programma, non altro.

Questi elementi, messi insieme, determinano tempi lunghi. Conte lo dirà oggi al Colle. Servono almeno 10 giorni, sostiene il premier, che però garantirà a Mattarella che il governo nascerà e avrà entrambi i criteri elencati dal capo dello Stato: numeri e visione. Garantirà, il premier, che non ci saranno «traccheggiamenti» e che lui stesso non cederà alla tentazione di un «governicchio» per «galleggiare». Servono dei giorni ma non per fare melina sul voto anticipato.

Il metodo: prima le consultazioni alla Camera, con le delegazioni di tutti i partiti (e un leggero sorriso si apre a Palazzo Chigi quando si fa notare che Conte e Salvini potrebbero trovarsi di nuovo faccia a faccia in ruoli completamente diversi). Poi inizierà il lavoro programmatico con tutti i gruppi che diranno di voler dare la fiducia al nuovo esecutivo. «Dobbiamo costruire il senso di questo governo», ammette Conte. E il «senso» passa dai temi, che devono avere «l’assoluta priorità».

Il valore aggiunto che vuole mettere a disposizione il premier è quello di non provenire da un partito, di avere ancora le «mani libere» rispetto alle logiche del consenso che possono portare a fare o non fare le cose, a farle bene o a farle in modo raffazzonato. E l’esperienza di questi 15 mesi, si sussurra con prudenza, potrebbe servire a cooptare nella squadra risorse esterne, persone conosciute nei suoli viaggi lungo lo Stivale. Donne e «gente con solidi principi». E c’è su questo punto una convergenza con Zingaretti, che ad esempio immaginerebbe Lucrezia Reichlin all’Economia o l’ingresso al governo di Evelina Christillin. Ma anche Conte ha una sua rosa di donne e uomini di valore.

È un altro Conte, insomma, quello che si presenterà per la fiducia alla Camera forse, addirittura, il 9 settembre. Quindici mesi fa il professore-avvocato era uno sconosciuto che veniva descritto come stritolato in surreali siparietti tra Di Maio e Salvini. Oggi è un uomo pubblico con indici di popolarità alti, apprezzato dagli Usa di Trump e da Bruxelles. Un politico che ha anche cambiato immagine: da una visibilità ridottissima alla passeggiata in centro con il figlio Niccolò mentre nei Palazzi infuriava la "poltronopoli". E quando si affaccia il timore che questo governo possa diventare presto "di nessuno", lui scaccia via il cattivo pensiero: per ora, dicono a Chigi, c’è la corsa a salire sul carro. Su una cosa, però, Conte non vuole cambiare. «Quando a Biarritz ho detto che non rinnego questi 15 mesi, volevo dire che non cambierò stile e valori di riferimento, per me la politica resta un servizio e con questa idea ho lavorato con la Lega e lavorerò con il Pd».

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