venerdì 5 febbraio 2021
Bene il premier dimissionario, che rimette in moto il M5s, e il processo avviato da Berlusconi, che potrebbe spingere ora anche la Lega
Il palazzo del Quirinale

Il palazzo del Quirinale - Ansa

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Le difficoltà che ha incontrato Mario Draghi nella fase iniziale del suo tentativo non hanno sorpreso il Quirinale. Non a caso Mattarella aveva sperato fino all’ultimo di non doverlo schierare, essendo davvero un lusso mettere a rischio la personalità più autorevole di cui l’Italia dispone in un Parlamento ingolfato da veti incrociati, veleni, e parole d’ordine in conflitto fra loro. Si aggiunga che nella visione dell’attuale capo dello Stato l’opzione "governo del presidente" esula dalla visione di arbitro che si è auto-attribuito e lo colloca in quella di "regista" che poco gradisce. Tuttavia Mattarella da giurista sa bene che il Quirinale funge da "motore di riserva" quando la politica si inceppa, si avvita su sé stessa.

Ora però il Colle torna un passo indietro e segue con apprensione l’evolversi del tentativo di Draghi che non ha ricevuto da Mattarella nessun "paletto" o indicazione particolare. Proprio per questo, si ragionava sul Colle ieri, quand’anche risultasse minoritaria l’adesione dei gruppi politici nel voto di fiducia, se Draghi se la sentisse non sarebbe certo il Quirinale ad alzargli l’asticella. Con 14 governi che si sono avvalsi di una fiducia non autosufficiente, non si negherebbe certo a Draghi una possibilità del genere, per di più in un momento in cui Mattarella ha messo in fila una serie di ragioni che fanno considerare una vera iattura il voto anticipato. Se il voto di astensione assumesse un valore politico, senza riserve di veti successivi su ogni provvedimento, e se il presidente incaricato se la sentisse, non gli si potrebbe impedire di partire, quindi, anche con un governo di minoranza.

Qualcosa di simile accadde al governo Dini, che non era autosufficiente alla Camera. Draghi potrebbe così portare avanti i dossier più spinosi e urgenti, vaccini e Recovery in primis, ma al primo inciampo, sul tavolo di Mattarella tornerebbe l’opzione "uno" che ha preferito accantonare, ossia lo scioglimento delle Camere con la nomina di un governo elettorale che potrebbe essere affidato allo stesso Draghi, o a un profilo tecnico-istituzionale come quello del prefetto Luciana Lamorgese.

Tuttavia la giornata di ieri si è chiusa con prospettive molto migliori di come si era aperta. Sul Colle si è registrato che Forza Italia e Udc - aderenti al Ppe, che appoggia la Commissione Ue - si presenta da sola alle consutazioni, potendo così più agevolmente rompere il ghiaccio nel centrodestra, con la stessa Lega che ora mostra maggiore disponibilità, anche per la forte spinta che arriva dal mondo produttivo.

Sull’altro fronte inducono a ben sperare, dopo il lungo colloquio con Draghi, le parole del pomeriggio di Giuseppe Conte, valutate molto positivamente sul Colle, perché aprono una prospettiva nuova, meno ostativa, nel ribollente M5s, partito di maggioranza relativa. Oggi sarà un altro giorno, che si apre con più fiducia di ieri. Per Mattarella la speranza che il suo appello a tutte le forze politiche non cada nel vuoto si fa più concreta. Anche perché dire di no a una personalità che con il solo ingresso in campo ha ridato fiducia ai risparmiatori potrebbe essere un onere molto gravoso da sostenere, per tutti.

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