martedì 26 gennaio 2021
Oggi ultimo Cdm alle 9, poi va al Quirinale. Già domani e giovedì le consultazioni Amarezza per il confronto deteriorato. Conte dovrà spiegare se pensa di ricomporre o punta ai «volenterosi»
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che oggi rassegnerà le sue dimissioni nelle mani del capo dello Stato Sergio Mattarella

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che oggi rassegnerà le sue dimissioni nelle mani del capo dello Stato Sergio Mattarella - Ansa

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Tanto tuonò che piovve. Giuseppe Conte oggi rassegnerà le sue dimissioni. Il Consiglio dei ministri è convocato per le 9 per comunicarlo formalmente al governo, subito dopo il presidente del Consiglio è atteso al Quirinale per comunicare la sua decisione al presidente della Repubblica. Dopo di che la crisi- non-crisi che si è trascinata per quasi un mese con strappi successivi, fino alle dimissioni dei ministri di Italia Viva, potrà dirsi formalizzata.

La notizia era nell’aria, tanto che nel pomeriggio era già circolata la voce (senza che al Quirinale se ne sapesse niente) di un’imminente salita al Colle di Conte, che poi però si è preso qualche ora in più. Sarà una crisi 'vera'. Le consultazioni dovranno fare i conti anche con le complicazioni logistiche legate al Covid. Per prima cosa Conte dovrà spiegare, anticipando la richiesta di Mattarella, come mai questo passo indietro, ipotizzato già all’inizio della verifica, sia stato deciso solo ora, al prezzo, nel frattempo di un logoramento dell’alleanza non si sa quanto, ancora, sanabile. Non è un mistero che l’invito di Capodanno di Mattarella a farsi «costruttori» e a non inseguire «illusori vantaggi di parte» era rivolto innanzitutto ai due principali contendenti, Conte e Renzi.

Da qui la sua amarezza per una situazione che è stata lasciata precipitare con il risultato che entrambi ora entrano in questa crisi molto più deboli di quanto fossero a inizio verifica. Mattarella prima di avviare la consultazione dei partiti intende ricevere da Conte l’interpretazione autentica del passo che ha scelto di fare. Una concessione che il premier ha inteso fare, ma non è chiaro al momento se l’offerta di discontinuità ha come destinatari i cosiddetti «volenterosi» ai quali si era rivolto - finora con scarsi successi - nel voto di fiducia alle Camere, o vuole essere una nuova offerta a Renzi per rinegoziare l’alleanza come da lui richiesto.

La soluzione dei 'volenterosi' (senza Italia Viva) deve fare i conti, al momento, con la complicazione procedurale della mancanza di gruppi costituiti, un problema che soprattutto al Senato appare arduo da superare, per cui se anche si raggiungessero, a fatica, i numeri non ci sarebbe un interlocutore unico a poterlo attestare al Colle. Ma si fa strada anche un’ipotesi mediana per Conte: allargare di alcune unità la maggioranza, almeno al Senato, in modo da trattare con Renzi in condizione di maggiore forza. Mattarella dovrebbe poi iniziare a sentire le delegazioni dei partiti domani pomeriggio, per non far saltare le celebrazioni della Giornata della memoria cui tiene particolarmente e poi si proseguirà nella giornata di giovedì.

Si tratterà di verificare se qualcosa si muove anche nel centrodestra mostratosi granitico a chiedere il voto («con questo Parlamento è impossibile lavorare», hanno detto i tre partiti di opposizione a Mattarella nell’ultima visita al Colle), salvo aprire di nuovo, ieri, con Silvio Berlusconi alle larghe intese che nella Lega avevano in primo momenti visto interessato anche Giancarlo Giorgetti.

Nessuna strada è preclusa ma è chiaro che se le larghe intese dovessero vedere interessati sul fronte dell’opposizione gruppi politici di consistenza minore rispetto a quelli che si sfilerebbero dell’attuale maggioranza nel gioco della coperta corta al Quirinale non resterebbe che valutare la possibilità di ricomporre su Conte l’attuale alleanza (con nuovi apporti o su nuove basi) magari con l’ingresso dei leader al governo (Renzi compreso, o in subordine Ettore Rosato) che è poi la soluzione che era stata prospettata già un mese fa, vista di buon occhio anche da Mattarella, se serviva a irrobustire un esecutivo che quando era nato non pensava certo di dover affrontare le enormi difficoltà del Covid.

In mancanza di una via d’uscita l’ipotesi più accreditata, forse l’unica, resterebbe il voto in primavera. Ipotesi sciagurata, agli occhi di Mattarella, specie se il punto di rottura dovessero essere i 300 milioni di risparmio del Mes, con il rischio di perdere, così, forse anche 300 miliardi, sommando i fondi dell Recovery Plan e il rischio di un’impennata dello spread, in virtù di una tempesta sui mercati finanziari che già ieri ha dato le prime avvisaglie. ©

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