domenica 18 marzo 2018
Aiuti ad entrambi i gentiori, ora le aziende ci credono di più
Una scena del film Padri e Figlie di Gabriele Muccino (Ansa)

Una scena del film Padri e Figlie di Gabriele Muccino (Ansa)

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Declinare la conciliazione anche al maschile. Sino a poco tempo fa in Italia far combaciare il tempo del lavoro e quello della famiglia era un impegno che toccava solo alle donne. Costrette a fare i salti mortali e a rinunciare alla carriera, quando non al lavoro in maniera definitiva, per crescere i figli. Adesso le cose stanno cambiando anche in Italia. Lentamente s’intende, il livello di occupazione femminile è ancora al di sotto del 50%, con il nostro Paese penultimo in Europa dopo la Grecia, e solo da quest’anno dopo un lungo dibattito politico (e la ricerca delle risorse necessarie) è in vigore la norma che raddoppia da due a quattro i giorni obbligatori di congedo di paternità e ne prevede un quinto facoltativo (sottratto ai giorni della mamma). Qualcosa si muove, insomma. Anche e soprattutto a livello di contrattazione di secondo livello. Le aziende hanno capito che i padri sono cambiati e chiedono soluzioni per avere più tempo da dedicare alla famiglia. Il rapporto «Welfare for People» realizzato da Adapt (la scuola di alta formazione in relazioni industriali e di lavoro fondata nel 2000 da Marco Biagi) per Ubi Banca analizza 2.000 contratti integrativi cercando di capire come sta cambiando il welfare aziendale.

Le sorprese non mancano. Già prima dell’intervento del legislatore infatti alcune aziende hanno deciso spontaneamente di 'allungare' i congedi retribuiti per i neo-papà. Luxottica ne prevede ad esempio cinque, tre erano garantiti da Leroy Merlin, Findomestic, Gucci e altre realtà. Ma a prendere la paternità dei dipendenti in maniera molto seria è soprattutto la San Pellegrino che ha previsto uno 'stacco' di due settimane con retribuzione al 100%. Sul fronte dei congedi parentali A2a prevede, oltre i 5 mesi garantiti per leg- ge, un altro mese aggiuntivo che può essere utilizzato da entrambi i genitori. L’aspettativa non retribuita si allunga sino ai 12 mesi (sei sono quelli consentiti per legge) per tre aziende che sono particolarmente attente alla conciliazione come Eataly, Zara e Ikea, che la garantisce ai padri a prescindere dalle condizioni della madre (vale a dire possono usufruirne entrambi). Misure specifiche anche per le adozioni, in particolare Banco Bpm prevede la concessione di un periodo di due mesi da utilizzare per le pratiche internazionali.

Ma se i congedi rappresentano la possibilità di trascorrere del tempo con il neonato e la mamma, il ritorno al lavoro anche per i padri è accompagnato da una serie di agevolazioni che consenta di essere genitori non solo nel week-end ma a 'tempo pieno'. In che modo? Con l’utilizzo di forme di flessibilità che sono rivolte non solo alle mamme ma ai 'genitori'. Mellin e Danone ad esempio prevedono la possibilità di part-time sino ai sei anni di vita del bambino, mentre Fastweb ha istituito il 'turno genitori' che consente a mamme a papà di saltare i turni notturni e di lavorare solo nella fascia oraria 9-20. La stessa azienda riconosce inoltre la possibilità di utilizzare di permessi a recupero come 'banca ore'. Nei contratti integrativi si fa strada anche l’impegno dei padri nell’inserimento dei bambini all’asilo nido e l’erogazione di contributi monetari per il finanziamento della retta estesa in alcuni casi (ad esempio in Lottomatica) anche alla materna. Ci sono poi come bonus aziendali legati alla genitorialità anche la fruizione di ambulatori pediatrici o di colonie e campi estivi per i figli.

«Il welfare aziendale è oggi un’opportunità per le imprese – commenta Michele Tiraboschi coordinatore scientifico di Adpat e curatore della ricerca –. Non è solo uno strumento di riduzione dei costi ma una risposta concreta alla nuova grande trasformazione del lavoro che stiamo vivendo». Che passa anche attraverso l’abolizione dello stereotipo che vuole gli uomini dediti solo al lavoro e poco inclini alla conciliazione.

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