venerdì 18 marzo 2022
A rischio la sicurezza alimentare di oltre 50 Paesi in Nord Africa, Medio Oriente e Asia che dipendono da Russia e Ucraina per più del 30% del consumo di grano
Martina: «Con la guerra, senza cibo altri 13 milioni di persone»
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Rischiamo che rapidamente tra i 7 e i 13 milioni di persone in più soffrano la fame a causa del conflitto in Ucraina. Guerra e povertà alimentare vanno ancora di pari passo. I conflitti restano la prima causa di fame nel mondo. «E il conflitto in Ucraina ci sbatte in faccia, ancora una volta, questo legame drammatico, come è successo in Afghanistan, in Yemen e in altre realtà» fa la premessa Maurizio Martina, oggi vicedirettore generale della Fao (l’agenzia Onu per l’agricoltura e l’alimentazione) e già ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, con delega all’Expo.

Perché il conflitto avrà conseguenze importanti sul piano della sicurezza alimentare?
Ucraina e Russia sono due grandi Paesi agricoli e tra i principali esportatori di prodotti agricoli come grano, orzo e semi di girasole. Quello che sta accadendo apre innanzitutto un’emergenza alimentare per i milioni di ucraini profughi coinvolti nel conflitto – e l’impegno delle agenzie Onu presenti sul campo per aiutare è enorme – ma dobbiamo anche sapere che oltre 50 Paesi in Nord Africa, Medio Oriente e Asia dipendono per più del 30% del loro consumo di grano da Ucraina e Russia. Parliamo di Stati come Egitto, Bangladesh, Turchia, Iran, Libano, Tunisia, Libano, Pakistan.

Perché è importante garantire la sicurezza alimentare?
È la condizione minima per non far scivolare le persone nell’area della malnutrizione e della fame. Ed è un elemento essenziale della pace e della stabilità. Stiamo parlando di Paesi con contesti complessi dove l’impatto di quello che sta avvenendo in Ucraina rischia di avere un rapido effetto negativo perché, se vengono meno alcuni beni essenziali, in quelle realtà il problema è immediato. Paesi come l’Eritrea ad esempio (che non se la passa di certo molto bene in termini di stabilità sociale ed economica) nell’importazione di grano dipende per il 50% dall’Ucraina e per il restante 50% dalla Russia. Anche la Somalia. E le isole Seychelles che importano il 100% del loro grano dall’Ucraina. L’Egitto, il 40% dalla Russia e il 60% dall’Ucraina. Il Congo importa il 60% di tutto il suo grano dalla Russia. Ciò significa che il conflitto in Ucraina rischia di avere un effetto diretto sulla sicurezza alimentare di molti Paesi poveri.

Ma questi Paesi sono già in emergenza?
Certo, hanno già grandi difficoltà ma molto dipenderà anche dalla durata del conflitto. Quello che è certo è che questi Paesi sono sotto la nostra massima attenzione. Ma devono essere all’attenzione anche della comunità internazionale perché rischiano un impatto pesante. Noi stimiamo che ci possa essere a livello globale un incremento del prezzo del grano nell’ordine dell’8% e ricordiamoci sempre che proprio il grano per almeno il 35% della popolazione mondiale è un bene alimentare di primissima importanza.

Che tipo di impatto si prevede su queste popolazioni?
Stiamo parlando di aree molto popolose e fragili, stime ci indicano di un possibile aumento tra i 7 e i 13 milioni di affamati nel giro di poco tempo. Con problemi causati dall’approvvigionamento di queste materie prime ma anche dall’aumento dei prezzi in generale, in ragione anche dell’incertezza economica globale che purtroppo la guerra e il conflitto ha accentuato. Quindi la situazione è delicata. Con tutte le potenziali conseguenze di ripresa anche di fenomeni migratori.

Aree che già prima della guerra non se la passavano certo bene...
Sì, è vero. Sulla pandemia e sugli effetti legati ai cambiamenti climatici si sono innescati anche aumenti dei prezzi nell’ultimo anno.

Una tempesta perfetta?
Siamo veramente a un passaggio molto delicato perché con tutte queste sfide i problemi vengono esacerbati. L’aumento dei costi dell’energia ha portato a un aumento dei costi dei fertilizzanti che sono fondamentali per i raccolti. Il fatto che siano aumentati i prezzi dei fertilizzanti nell’ultimo anno ha diminuito in maniera sensibile anche le stime di raccolta in realtà molto fragili come quella dell’Africa subsahariana. Dove addirittura si ipotizza una riduzione generale della produzione di oltre 33 milioni di tonnellate di cibo. La guerra ha aggravato ulteriormente questo quadro.

Ma come se ne esce?
La prima condizione assoluta è naturalmente quella della pace. Ricordiamoci che i conflitti rimangono la prima causa di fame nel mondo. Sembrava l’avessimo dimenticato. Se ne esce rilanciando la cooperazione internazionale e il multilateralismo. E lavorando con determinazione a un nuovo modello economico, sociale e ambientale. Se ne esce sviluppando una nuova idea di sostenibilità integrale delle produzioni alimentari, sia dal punto di vista ambientale, sia dal punto di vista sociale. Mantenendo i mercati aperti e rafforzando la sovranità alimentare delle comunità locali. Quella fascia di Paesi più a rischio sono anche quelli delle primavere arabe. L’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità potenzialmente può innescare anche problemi di carattere sociale immediati. Ricordiamoci davvero che senza pace non ci potrà mai essere la fine della fame.

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