venerdì 23 novembre 2018
I giovani detenuti di Nisida e del Beccaria tra i volontari impegnati nel gesto di solidarietà
Colletta alimentare, in campo anche i «ragazzi difficili»
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Sopravviveva, Antonio, prima di entrare nel carcere minorile di Nisida. Senza ragioni, senza certezze, tranne quella che rubare orologi valesse più della vita. La prima volta che Felice, il responsabile del laboratorio edile realizzato all’interno della struttura per insegnare ai ragazzi a fare i muratori, gli ha parlato di una cosa chiamata Colletta alimentare l’ha guardato stralunato. Era il 2012.

«Ai ragazzi di Napoli spesso è difficile spiegare che si può fare qualcosa senza ottenere qualcos’altro in cambio. – spiega Felice Iovinella, che è anche presidente del Banco Alimentare Campania –. Niente si fa per niente, recita un detto dalle nostre parti, e quando ci cresci con questo motto il valore delle cose si ferma lì, al tornaconto». Poi Antonio e Salvatore sono saliti sulla macchina di Felice per uscire da Nisida e andare ad aiutare in un emporio a mettere il cibo, raccolto nei supermercati per i poveri, sugli scaffali. «All’andata parlavano solo di scooter, e macchine. Andavamo al Vomero e quando siamo stati sulla collina non hanno nemmeno guardato in giù, verso il mare» ricorda Felice. Al ritorno, dopo la giornata passata in mezzo agli altri volontari, «Antonio invece s’è voltato e mi ha detto "Felice, io non pensavo di poter fare del bene. Io posso fare del bene..."».

L’appuntamento di Nisida con la Colletta è alla sua sesta edizione. Ogni anno c’è un Antonio diverso, ogni anno la stessa lezione inaspettata di vita. I ragazzi hanno cominciato a raccontarla agli amici, a chi entra, la descrivono in lettere commoventi che Felice conserva e a sua volta diffonde. Si autotassano la paghetta e tra la lista del cibo e dei beni che il carcere gli concede hanno cominciato a mettere gli omogeneizzati. Per poi donarli l’anno dopo ai bimbi poveri. Bulli e ladruncoli e spacciatori che pensano ai figli piccoli di qualcun altro «e se questo non è un miracolo...».

Intanto il modello della rieducazione, attraverso il dono gratuito e l’esperienza della carità, fa scuola. Quest’anno per la prima volta parteciperanno alla Colletta alimentare anche i ragazzi "interrotti" della comunità Kairos di don Claudio Burgio, a Milano. Anche loro, in molti casi, reduci dall’esperienza del carcere minorile, il Beccaria. O dalle dipendenze estreme, dallo sballo senza limiti, più spesso dalla disarmante incapacità di trovare senso alla propria esistenza che, a 14 anni oggi può significare già eroina, psicofarmaci, ludopatia. «È proprio il passaggio dallo sballo all’elemosina a sconvolgerli la prima volta che sentono parlare di poveri – spiega don Burgio –. La contraddizione li paralizza, per poi cambiarli quando quella povertà toccano con mano. Improvvisamente, in un gesto immediato e concreto, escono dalla dimensione della superficialità e dei rapporti di convenienza per entrare in quella della gratuità». E la gratuità «restituisce anche l’idea che esistono rapporti liberi, positivi, fecondi».

La Colletta non salva soltanto i poveri (quest’anno oltre un milione quelli sfamati in oltre 8mila mense, di cui 140mila bambini sotto i 5 anni). Dalla parte di là del banco, nei magazzini o nelle mense, ci sono le persone che chiedono aiuto tendendo la mano ma dalla parte di qui, nei camioncini e tra gli scaffali, ce ne sono migliaia silenziosamente in cerca di se stesse e di un riscatto. È il caso dei ragazzi stranieri anche, tanti tra chi delinque e finisce in comunità o peggio in carcere: «In loro troviamo qualcosa di diverso ancora. Perché hanno conosciuto bene la povertà nel Paese da cui provengono, e durante il lungo viaggio che hanno compiuto – spiega don Burgio –. Ecco allora che scatta un senso di orgoglio, quando la incontrano, oltre al desiderio fortissimo di saldare il debito di riconoscenza nei confronti del Paese che li ha accolti». Sensibilità che non ti aspetti da chi è marchiato dalla società e soprattutto dalla scuola come "diverso", "difficile", "sbagliato" e il problema «è drammaticamente questo – continua don Burgio –, che proprio alla scuola manchi ancora questa capacità di inclusione, la sfida di mettere questi ragazzi dentro a progetti e percorsi di senso capaci di tenerli lì, attaccati al banco e alla realtà». Sabato i ragazzi "difficili" saranno in pettorina gialla nei supermercati, attaccati ai carrelli. Per servire.

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