giovedì 9 aprile 2009
Non si entra nel centro storico devastato, anche se in periferia qualche temerario torna a casa. Dolore e lutto segnano gli ultimi tentativi di trovare sopravvissuti sotto le macerie. Dovunque uomini in divisa, sono i soccorrittori i nuovi «abitanti». Cinque i campio di accoglienza realizzati, quasi 18mila persone vi hanno trvoato rifugio.
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Qualche bar ha già tirato su la saracine­sca. In qualche spiazzo venditori am­bulanti mostrano frutta e verdura, ma è troppo poco, e soprattutto è presto per dire che L’Aquila si sta riprendendo. Il lutto è an­cora vivo, e forte è il dolore. Ci sono tutte quel­le bare allineate nell’hangar della caserma dei finanzieri, ed è come se fossero una boa da gi­rare, una cima da scalare. E sarà dura. Una vol­ta consegnati i suoi figli all’eterno riposo, pur dalle tende o da una camera d’albergo di fron­te all’Adriatico, dove molti hanno scelto l’esilio, si potrà pensare a domani. L’Aquila non sa guar­dare davanti a sé, se prima non acquieta la pe­na che l’ha ammutolita. Ed è ancora tanta. Il centro storico, dove è proibito entrare o solo avvicinarsi, è deserto e spettrale. Le forze del­l’ordine schierate ad ogni incrocio impedisco­no l’accesso. È qui che si continua a scavare, e i ragazzi del VI reggimento Genio di Roma, che si affiancano ai Vigili del Fuoco, con loro ruspe cercano tra le macerie, e mano mano che le o­re passano e diminuiscono le speranze, torna­no a fine turno in caserma con la delusione di aver recuperato dal cumulo di macerie soltan­to cadaveri. Quando non c’è da scavare, le ru­spe mandano giù i muri più pericolosi. Allontanandosi dal centro, uscendo dalla città in direzione di Rieti, ci sono quartieri appena toccati dal sisma. Molte case appaiono intatte, e ci si imbatte in qualche coraggioso che è tor­nato ad abitare in uno di quegli edifici bassi del­la periferia che sembrano cascine. Ma vive sul­l’uscio, pronto a scappare al primo tremore del­la terra. Sono temerari che comunque non fan­no primavera. In città sono però già iniziate le verifiche per appurare la stabilità degli edifici. Hanno cominciato a farlo circa cento tecnici della Regione, e da stamattina se ne aggiunge­ranno altri mille. I più si sono trasferiti nelle tende issate in vari punti della città. Altri, con irriducibile capar­bietà, non hanno abbandonato la loro frazio­ne dove le case, a parte qualche palazzo che li circonda, hanno anche una corte e pare di sta­re in campagna. Sta succedendo intorno ad al­cune parrocchie. A Cansatessa, ad esempio, do­ve in un capanno di pochi mattoni da sempre sorge l’oratorio. Tutto intorno le abitazioni di quattro piani delle cooperative di carabinieri, finanzieri e poliziotti. I palazzi portano i segni evidenti del terremoto. Vedi in giro, nei viali che si stanno colorando con i fiori della primavera, giovanotti con la pistola nella cintura, così gran­de che la maglietta a stento riesce a coprirla. Sono militari che proteggono la loro abitazio­ne abbandonata in tutta fretta. Nella città scarseggia la benzina. Molti rivendi­tori hanno messo cartelli bene in evidenza. Ma l’auto è necessaria per procurarsi cose che an­cora non sono state assicurate nelle tende. C’è bisogno di tutti quei piccoli oggetti quotidiani, dal sapone al dentifricio, dagli asciugamani ai vestiti, specie maglioni pesanti per protegger­si la notte. All’Aquila non c’è nulla. I negozi so­no chiusi. Le crepe vistose fanno capire che è inutile anche chiedere. Adesso che ha riaperto l’autostrada, molti vanno verso Avezzano. All’u­scita di Valle del Salto, quasi al casello, c’è un su­permercato, e chi può va lì a comprare il ne­cessario. Le commesse hanno avuto disposi­zione di praticare il 10% di sconto ai terremo­tati. Li riconoscono dallo sguardo impaurito e dall’atteggiamento dimesso, battono lo scon­trino, e dicono: «Il Signore vi dia la forza». Il terremoto ha ferito e trasformato la città. Ne ha stravolto la geografia. L’abitato e il circon­dario non sono più divisi in quartieri, ma in Com (Comitati operativi misti) che fanno capo alla Protezione Civile. Il primo è quello dell’A­quila. Com vuol dire, più sbrigativamente, ten­dopoli. Ce ne sono 5 nella città: a Piazza d’Ar­mi, ad Acqua Santa, nell’area dell’ex Italtel, nel­la frazione Monticchio, nell’area di parcheggio del Gs e a Collemaggio. La sofferenza è ospita­ta sotto 2.962 tende issate su con prontezza straordinaria. Accolgono già, in tutta l’area del sisma, 17.700 persone. Altri diecimila, invece, hanno preferito accettare l’offerta del governo e trasferirsi negli alberghi della costa. L’Aquila si è popolata di nuovi abitanti: l’eser­cito dei soccorritori. Per la città, specie nelle zo­ne che lambiscono il centro storico, si vedono in giro soltanto divise, delle forze dell’ordine, dei volontari della Protezione civile, dell’esercito e dei Vigili del Fuoco. Oltre cinquecento inter­venti al giorno per verificare la stabilità di un e­dificio, per recuperare beni che le persone han­no lasciato nelle loro case, e soprattutto per cer­care gente, sperando che siano ancora in vita.
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