sabato 4 giugno 2016
Sebbene il confine serbo-ungherese sia formalmente chiuso, c'è chi riesce a passare. Le persone non si fermano, restano bloccati i più deboli e chi non ha soldi o ha già contratto con i trafficanti debiti troppo alti. Solo da Policastro, in Grecia, ci vogliono almeno 1.500 euro a persona per attraversare la Macedonia e raggiungere Belgrado.
Cinquecento persone al giorno superano il confine ungherese
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La sua carnagione chiarissima ha tratto in inganno anche l’autista macedone del bus che lo ha portato fino al confine serbo senza chiedergli il passaporto, credendolo un turista. Una volta alla frontiera i poliziotti serbi lo hanno trattenuto per diverse ore, ma alla fine gli hanno fatto capire che avrebbero chiuso un occhio, permettendogli di attraversare le montagne e raggiungere il campo di Preševo, in Serbia. Osman è uno dei pochi profughi presenti tra le tende delle Acnur, semivuote dopo che la rotta balcanica è stata chiusa lo scorso 19 marzo, quando l’Ue ha firmato l’accordo con la Turchia (finora meno di 1000 i ricollocamenti dei profughi siriani, ndr).

Numeri e confini porosi. Se nella traversata del Mediterraneo sono morte almeno 2.510 persone nei primi 5 mesi del 2016 (dati Acnur) sul versante orientale la crisi umanitaria non dà segnali migliori: negli ultimi tre mesi la rotta balcanica ha tenuto in ostaggio, tra filo spinato e campi che avrebbero dovuto essere solo di transito, migliaia di persone, donne e bambini perlopiù, costrette a sopportare condizioni disumane e impossibilitati a chiedere protezione internazionale. Ciononostante «almeno 500 profughi ogni giorno riescono a passare - dice Darko Tot, responsabile nazionale di Caritas Serbia - oltre la frontiera ungherese», sebbene quel confine sia formalmente chiuso. In altre parole, le persone non si fermano, o meglio devono rallentare i più deboli, resta bloccato chi non ha soldi o ha già contratto con i trafficanti debiti troppo alti. Solo da Policastro, in Grecia, ci vogliono almeno 1.500 euro a persona per attraversare la Macedonia e raggiungere Belgrado. Chi li ha, riesce a passare; chi non li ha arranca nella miseria e si ritrova costretto a vendere in Grecia sigarette di contrabbando macedoni o a fare affari mettendo su un negozietto di alimentari nel campo profughi. Le tariffe per i bambini sotto i 5 anni sono circa la metà, il che significa solo per quella tratta 5-6mila euro a famiglia. A fondo perduto, perché se qualcosa va storto alle frontiere, nessun trafficante restituisce indietro denaro.

L’infanzia che non esiste. I bambini, stando ai dati dell’Unicef, rappresentano il 36% dei profughi che affrontano il viaggio via mare dalla Turchia alla Grecia: una volta in Grecia restano bloccati come gli adulti in una non-vita. Per loro non c’è scuola, né educazione. Resta il gioco come unica via di fuga da una realtà fatta di fango, rifiuti e attesa. Se i più “fortunati” riescono a pescare nel vicino fossato, per tutti gli altri la vera magia resta il pallone: tira due calci e sei uno di loro; in ogni piazzola di sosta in cui ci si ferma, oltre a «My friend», «My friend» la parola che più si sente ripetere è «Ball». Samir non ha urlato «Ball», «Ball», semplicemente perché la palla ce l’aveva già in mano e giocare è stato un primo modo per conoscersi all’Hotel Park. Dove, dopo lo sgombero di Idomeni la sua famiglia si è trasferita, evitando i campi ufficiali e raggiungendo a piedi questo albergo dismesso sulla statale che porta a Gevgelija in Macedonia.

 

Tra le mura scrostate, i calcinacci pericolanti e le scritte a pennarello «Nessuno è clandestino », la mamma, i fratelli, ma anche i cugini e le zie hanno deciso di montare lì le loro quattro tendine. Come a dire in questo edificio cadente, dentro questa realtà così precaria, ci serve protezione. Anche solo quella di una tenda canadese. «Siamo diretti in Germania: là abbiamo dei parenti » racconta la mamma di Samir. E dopo qualche altra parola condivisa, lo scambio di foto di vite solo in apparenza diverse, ecco che la domanda senza risposta tornata fuori potente: «Quando riaprono le frontiere?». E chi lo sa. Osman a Preševo, raccontava che è possibile tuttora superare il confine ungherese: gli accessi sono contingentati, bisogna aspettare per giorni davanti al filo spinato, ma prima o poi qualcuno riesce a oltrepassarlo. È la speranza di gente come Osman, il siriano dalla pelle chiara che sogna la Germania, anzi il Canada. È il desiderio di famiglie come quelle di Samir che, dalla Siria si sono portati dietro le loro vite intere, con tanto di gatta e cuccioli. È il sogno comune e fin qui negato a tutti i 52mila profughi ancora bloccati in Grecia, in un limbo senza tempo e senza futuro.

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