mercoledì 8 febbraio 2023
Un obolo per tornare nel “ghetto” dopo la giornata nei campi: 13 le persone coinvolte, italiane e straniere
I camioncini dei braccianti

I camioncini dei braccianti - Ansa

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Caporali che come Caronte si facevano pagare per far lavorare nell’inferno dei campi del Foggiano. Braccianti immigrati sorvegliati e insultati se lavoravano poco, come i dannati dei gironi infernali, ma sfruttati da importanti italianissimi imprenditori. E Caronte è proprio il nome dell’operazione condotta dai carabinieri di Manfredonia e del nucleo carabinieri Ispettorato del Lavoro di Foggia, coordinati dalla Procura del capoluogo della Capitanata, tra le più sensibili, attive ed efficaci nella lotta all’illegalità in agricoltura. Un’indagine che vede coinvolte 13 persone, italiane e immigrate, due finite in carcere, 5 agli arresti domiciliari, due destinatarie di divieti di dimora e 4 di misure interdittive, accusate di intermediazione illecita, sfruttamento del lavoro, impiego di lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno.

Misure eseguite a Manfredonia, Zapponeta, Matera e nella provincia di Monza Brianza. Le immagini fornite dai carabinieri sono drammatiche. Le “barche” dove venivano caricati i braccianti/ dannati erano pullmini e furgoni dove i lavoratori erano stipati a decine, costretti a sedersi su panche di ferro, al massimo coperte di pezzi di gommapiuma. Mezzi sgangherati che a decine correvano su strade dissestate, ad alto rischio. Nelle stesse circostanze, il 4 e il 6 agosto 2018, in due incidenti stradali nel Foggiano, morirono 16 braccianti, stritolati tra le lamiere. Gran parte di loro vengono caricati nel ghetto di Borgo Mezzanone, la “ex pista”, non luogo dove sopravvivono più di 2mila persone, e dove muoiono, come Queen e Ibrahim, asfissiati il 22 gennaio dal braciere acceso nella loro baracca per combattere il gelo. E proprio qui i caporali/Caronte arruolavano i braccianti per imprenditori senza scrupoli, che ben sapevano a chi si rivolgevano. Infatti, oltre ai provvedimenti cautelari, è scattato il controllo giudiziario per due aziende agricole, il cui fatturato annuo raggiunge circa i 10 milioni, e che grazie allo sfruttamento avevano ottenuto un ingiusto profitto di più di 4 milioni, corrispondente al minor importo per le retribuzioni e all’omesso versamento di somme previdenziali e contributive all’Inps. Non è la prima volta che i magistrati utilizzano questo strumento, introdotto con la legge “anticaporalato”, la 199 del 2016.

«È molto importante - ci spiega il procuratore di Foggia, Ludovico Vaccaro - intervenire anche con questi provvedimenti economici che colpiscono duramente gli imprenditori sfruttatori, ma nello stesso permettono di tenere in vita le aziende e salvaguardare i lavoratori, sanando le loro posizioni ». Per essere trasportati nei campi, i braccianti erano costretti a versare al “caporale”, che li reclutava e accompagnava, 5 euro al giorno, una somma che, in accordo con i titolari delle aziende, veniva detratta dalla busta paga giornaliera che arrivava fino a 45 euro ma solo se il bracciante riusciva a riempire 56 cassoni di prodotti agricoli, lavorando fino a 11 ore. Con qualunque condizione di tempo e senza pause giornaliere né settimanali. Erano controllati a vista e se rallentavano venivano insultati, chiamati «bestie». Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, che lunedì a Foggia ha siglato un patto per la sicurezza, affrontando anche il tema del progressivo “prosciugamento” dei ghetti in cui vivono i braccianti, ieri ha ribadito che «lo sfruttamento del lavoro e il caporalato sono fenomeni criminali che impongono condizioni di vita degradanti. Dinamiche che non solo ledono la dignità delle persone ma danneggiano le imprese che scelgono di operare nella legalità e sono spesso funzionali ad alimentare gli interessi economici delle criminalità organizzata».

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