giovedì 31 agosto 2017
Le difficoltà sulla tratta libica spingono tanti a prendere un percorso alternativo. L’enclave spagnola in Marocco è la nuova via. Il «muro» e le retate non fermano i migranti.
Ceuta, da porta di servizio a trampolino per l'Europa
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Non sono nemmeno riusciti ad avvicinarsi alla valla, la doppia rete. Gli agenti li hanno rispediti indietro prima che potessero raggiungere il valico di El Tarajal, alle prime luci dell’alba del 17 agosto. L’intervallo compreso tra le 4 e le 6 del mattino è il più propizio per tentare il “salto” dal Marocco verso quei 19 chilometri quadrati d’Europa incastonati in terra africana: l’enclave di Ceuta. Il sonno a lungo trattenuto e il cambio di turno rendono le guardie meno attente ai movimenti dei migranti. Specie se si presentano in un gruppo numeroso. Quella volta erano almeno 300: nel mucchio – recita il codice non scritto degli irregolari – qualcuno ha più speranza di “passare”. Gli agenti, però, erano in allerta. Quello del 17 agosto era l’ottavo tentativo in due settimane. In media, uno ogni due giorni.

Erano 21 anni, cioè da quando esiste la rete, che non si vedeva un fatto simile: al massimo, c’è un tentativo al mese. Il 7 agosto, 187 subsahariani sono riusciti a rompere la rete e a entrare. La Guardia civilspagnola, presa alla sprovvista, ha risposto distribuendo calci e manganellate: dieci migranti e tre poliziotti sono rimasti feriti. La reazione “sopra le righe” – immortalata da un video diffuso dai media locali – non è riuscita, però, a fermarli. « Bosa » – “vittoria” in lingua fula – gridavano i subsahariani mentre si disperdevano per le strade di Ceuta. Il giorno successivo ci hanno riprovato in mille, poi in 700, poi due gruppi più piccoli da un centinaio, quindi uno di duecento a Ferragosto, infine i 300 del 17. Ogni volta, sono stati respinti. E ora, lungo la valla, c’è una calma tesa. Quanto irreale. Il movimento s’è spostato più a ridosso delle spiagge, in particolare Benzú e Tarajal, che i migranti provano a raggiungere in moto d’acqua. Gli scafisti li abbandonano a una quarantina di metri dalla riva. Da una settimana, ne arrivano in media due al giorno.

Eppure per fermare il flusso le autorità non hanno lesinato il ricorso a “misure speciali”. Il confine tra Ceuta e Tangeri è stato sigillato, in modo da concentrare tutti gli uomini sulla valla. Un dramma per i 25mila lavoratori – la stragrande maggioranza donne – che, ogni giorno, si recano dalla regione marocchina di Yerbala a Ceuta. Per svolgere lavori in genere in nero e malpagati. Come le porteadoras. Queste ultime sono il prodotto delle contraddizioni della frontiera. La città spagnola è porto franco: vi attraccano metà delle navi mercantili da tutta Europa. Eppure, non ha dogana commerciale: le merci, dunque, non po- trebbero passare. Per ovviare il problema, i commercianti marocchini – attratti dal prezzo allettante dei prodotti giunti nell’enclave – assoldano, per pochi euro, un “esercito” di donne. Almeno tremila secondo le stime. Incaricate di portare sulle spalle enormi fagotti carichi di merci: questi passano il controllo come bagagli a mano. La violazione della legge è evidente. Dato che in gioco c’è un business da mezzo miliardo di euro, gli agenti di entrambi i lati chiudono volentieri gli occhi. Almeno fino a quando la tensione non aumenta, come ora.

Per gran parte della prima metà di agosto, migliaia di porteadoras sono rimaste accampate sulla spiaggia di El Tarajal in attesa che le autorità si decidessero a riaprire il valico. Nel frattempo, la polizia marocchina ha messo in atto una serie di retate nei boschi di Benyunes. Decine di migranti sono stati fermati e portati nel deserto: ci metteranno mesi per tornare. Il resto è costretto a nascondersi fra gli arbusti. Senza servizi, né cibo se non quello che porta qualche organizzazione umanitaria. In attesa di tentare il prossimo salto. Al momento, ce ne sono circa duemila. Giovani, spesso giovanissimi, profughi delle troppe guerre e carestie che dilaniano l’Africa. In Marocco, arrivano dall’Algeria o dalla Mauritania. Si concentrano a Tangeri e Benynes, con lo sguardo fisso su Ceuta o, quelli con più risorse, sulle coste andaluse. L’enclave, a lungo, è stata la “porta di servizio” d’Europa. Qualcosa, però, sta cambiando. Le maggiori difficoltà sulle rotte libiche e balcaniche spingono i migranti a tentare la “via spagnola”. Secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), da gennaio, sono arrivati in territorio iberico, via mare, 8.585 irregolari.

Quattro volte la quota giunta nei primi otto mesi del 2016. «Se il ritmo resterà invariato, la Spagna supererà la Grecia come punto d’approdo», ha spiegato Joel Millman, portavoce dell’Oim. Non si tratta di “invasione”, sottolineano gli esperti. Bensì dei principi fisici base sulla “dinamica dei fluidi”. Dato che le cause dell’esodo resta invariato, quando viene chiuso un condotto, il flusso di esseri umani si indirizza verso un altro. In assenza di canali d’accesso legali e sicuri per l’Europa, le mafie moltiplicano i propri affari. Visto l’incremento della domanda, il prezzo per un posto in canotto o in moto d’acqua è passato da duemila agli attuali 4-6mila euro. Da pagare in anticipo. L’arrivo non è garantito. I cadaveri recuperati nello Stretto, quest’anno, sono già 122: uno ogni due giorni. E il più delle volte, il mare non restituisce i corpi.

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