mercoledì 27 luglio 2022
Stasera vertice del centrodestra alla Camera per affrontare questo nodo, ma anche gli assetti elettorali a cominciare dalle candidature
Tre leader in cerca d'intesa. Da sinistra, Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni e Matteo Salvini nel 2015 in Piazza Maggiore a Bologna

Tre leader in cerca d'intesa. Da sinistra, Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni e Matteo Salvini nel 2015 in Piazza Maggiore a Bologna - Ansa

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Chissà se il vertice di stasera sarà sufficiente a definire il futuro assetto elettorale del centrodestra. Di certo, dall’incontro previsto alle 17 alla Camera fra i leader delle forze della coalizione, i Fratelli d’Italia si aspettano un contributo di chiarezza sul nodo della premiership.

Lo ribadisce uno dei colonnelli meloniani, Ignazio La Russa, rivolto alla Lega e a Forza Italia: «Le regole ci sono e vanno rispettate», incalza, riferendosi all’accordo delle scorse politiche sul fatto che il candidato premier venga espresso dal partito che prende più voti. Un punto su cui Giorgia Meloni non arretra: «Senza accordo sulla premiership – ha avvertito –, l’alleanza per governare insieme è inutile». E a riprova della propria determinazione, ha convocato per domani la direzione nazionale di Fdi, per informare i colleghi dell’esito del vertice e discutere la road map verso le elezioni.

Un aut aut sul quale Matteo Salvini non pare alzare barricate: «Chi ha un voto in più indica il premier», ripete, invitando i partner a non perdere tempo in polemiche, per non rischiare «di farci del male da soli».

Invece Forza Italia continua a temporeggiare: «Serve una squadra, non un uomo o una donna sola al comando», dice il coordinatore Antonio Tajani. E il Cavaliere si mostra tiepido: «Non riesco ad appassionarmi al problema e non credo appassioni gli italiani. Del resto i nostri avversari non hanno indicato un candidato premier. Perché questa pressione su di noi?», argomenta, intervistato dal Corriere della Sera. Poi aggiunge: «Meloni sarebbe un premier autorevole, con credenziali democratiche ineccepibili, di un governo credibile in Europa e leale con l’Occidente. Allo stesso modo lo sarebbero Salvini, o un esponente di Forza Italia».

L’ultimo incontro risale al 17 maggio, quando i tre leader si ritrovarono ad Arcore dopo la rottura di gennaio sul Mattarella bis (Fi e Lega votarono a favore, Fdi contro). E anche stavolta, si prevede una discussione animata. Oltre alla leadership, sul tavolo del vertice (al quale prenderanno parte anche i centristi Maurizio Lupi e Lorenzo Cesa), c’è la suddivisione dei collegi uninominali, con Fdi che ne reclama metà (sulla base del primato pronosticato dai sondaggi) e le altre forze che preferirebbero una ripartizione basata sui voti delle scorse politiche.

Nel frattempo, continua a impensierire i vertici forzisti l’addio di diversi parlamentari, scontenti per l’affossamento del governo Draghi. Fra i veterani, hanno preso cappello i tre ministri Renato Brunetta, Mariastella Gelmini e Mara Carfagna: «Se avessi pensato alla poltrona, sarei rimasta in Fi», scrive quest’ultima in risposta a punzecchiature giornalistiche su una possibile adesione elettorale degli uscenti al centrosinistra.

Anche in Lombardia, dove Gelmini è stata coordinatrice regionale, le acque sono agitate, con Letizia Moratti che chiede un «chiarimento». E una frecciata agli ex alleati arriva dal segretario del Carroccio («Mi stupisce che gente eletta col centrodestra vada a sinistra. Io ho la stessa tessera di partito da 30 anni»), sollevato dal fatto che in casa sua il dissenso sia rientrato. Ritrovata l’unità, per lui è tempo di caricare le truppe per la campagna elettorale, vestendo i panni del capitano-motivatore in alcune riunioni: «Sarà un agosto di fuoco, il nostro nemico è l’astensionismo».

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