giovedì 30 novembre 2023
L’esclusione dai finanziamenti europei delle strutture a sostegno delle donne da realizzare sui beni confiscati alle mafie ha bloccato le iniziative dei Comuni. Che ora attendono risposte dal governo
Un momento di una manifestazione dei giorni scorsi contro la violenza sulle donne

Un momento di una manifestazione dei giorni scorsi contro la violenza sulle donne - Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

Non ci sono più i fondi nel Pnrr per i centri antivolenza alle donne da realizzare sui beni confiscati. Si tratta di circa 80 progetti, più del 31% dei 242 approvati per ottenere i finanziamenti europei sui beni tolti alle mafie. Il numero più alto tra tutti quelli presentati dalle regioni del Sud. Ma anche questi sono finiti sotto la scure del governo che lo scorso agosto li ha definanziati, come allora aveva comunicato il ministro Raffaele Fitto, assicurando però che si sarebbero trovati altri fondi. Ma dopo tre mesi ancora non si sa come, in che misura e, soprattutto, quali. Così, fidandosi, alcuni comuni sono andati avanti nella progettazione, ma molti altri si sono bloccati, per timore di dover poi ricorrere ai propri fondi.

Eppure proprio i progetti per le donne vittime di violenza erano stati considerati molto importanti, al punto da meritare più punti nel bando che prevedeva 250 milioni di euro. E infatti quelli approvati sarebbero stati destinatari di più di 75 milioni. Invece ora rischiano di non essere realizzati. Oltretutto i progetti nei territori a forte presenza mafiosa hanno un ulteriore valore, come sottolinea Tatiana Giannone, responsabile del settore beni confiscati dell’associazione Libera. «Utilizzare i beni confiscati come centri antiviolenza vuol dire sostenere attivamente la libertà delle donne vittime di violenza fisica e psicologica, soprattutto quella subita in famiglia, ancora più in quelle mafiose». Così ricorda «la storia di Lea Garofalo, testimone di giustizia e vittima poi di femminicidio, che ha tracciato un solco profondo nel nostro impegno: per sconfiggere le mafie dobbiamo agire sui legami sociali che le rendono forti. Aprire i beni confiscati e trasformarli in rifugi e nuove opportunità è una responsabilità dalla quale nessuno può tirarsi indietro».

E infatti erano veramente tanti e importanti i progetti dedicati alle donne presentati dai comuni del Sud e approvati per i finanziamenti: 23 dei 72 in Campania, 17 su 59 in Calabria, 8 su 38 in Puglia, 25 su 57 in Sicilia, 3 su 13 in Abruzzo, 1 su 3 in Basilicata. Ci sono centri antiviolenza, case rifugio per le donne e i loro figli, sportelli di ascolto e orientamento, case delle donne. Li avevano presentati grandi comuni come Napoli (4 progetti), Palermo, Trapani, Agrigento, Lecce, Siracusa, Matera. Paesi “famosi” per la forte presenza mafiosa come Campobello di Mazara (dove si nascondeva Matteo Messina Denaro), Rosarno, Casal di Principe, San Cipriano d’Aversa, Marina di Gioiosa, Afragola, Sannicandro, Tropea, Gioia Tauro, Battipaglia, Oppido Mamertina, Grazzanise, Rizziconi, Cittanova, Bolognetta. Luoghi dove però anche grazie ai beni confiscati si vuole voltare pagina.

E ora? Dopo l’annuncio del definanziamento non è seguito alcun documento ufficiale inviato ai Comuni. «Chiederò un appuntamento al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano – dice Mario Morcone, assessore alla sicurezza e la legalità della Regione Campania, già direttore dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati –. Noi abbiamo fatto i progetti ma ora a chi dobbiamo rivolgerci per i fondi? Si dice, ma niente di ufficiale, che saranno quelli della Coesione territoriale, ma sono fondi già destinati ad altro, e quindi se li danno a noi li tolgono ad altri progetti». È quello che teme anche Renato Natale, sindaco di Casal di Principe, dove, con 1,2 milioni di euro, dovrebbe essere realizzato un centro antiviolenza nella villa che apparteneva al boss Giuseppe Setola, protagonista della stagione stragista del 2008. «Noi abbiamo ricevuto un’anticipazione dalla Coesione ma ufficialmente non abbiamo avuto nessuno comunicazione sui fondi per i progetti. Comunque stiamo rispettando i tempi, i progetti sono pronti e stiamo per fare il bando per i lavori. Ma altri comuni si sono invece bloccati». O rallentano, come Rizziconi, comune della Piana di Gioia Tauro, destinatario di 1,6 milioni. «Siamo in attesa. La progettazione è pronta – ci spiega il sindaco Alessandro Giovinazzo –, ma non possiamo fare la gara senza fondi sicuri. Il bilancio del comune non ce lo permette». Anche altri due comuni calabresi attendono comunicazioni ufficiali, sono Cinquefrondi e Gioiosa Jonica. Il primo aveva ottenuto 2,5 milioni per la realizzazione, su un terreno confiscato, di un centro per donne e minori, “Casa di Roberta”, in memoria di Roberta Lanzino, stuprata, seviziata e uccisa a 19 anni. Il secondo aveva ottenuto 1,9 milioni per realizzare “Casa di Clelia” per vittime di violenza in una villetta confiscata. Come ci dicono i sindaci Michele Conia e Luca Ritorto, «siamo andati avanti coi progetti per poter fare la gara entro dicembre, come previsto dal Pnrr, ma nessuno ci ha fatto sapere nulla». Solo Cinquefrondi ha appena ricevuto 350mila euro di anticipo con la dicitura “Presidenza del Consiglio-Pnrr”.

Si tratta, come per Casal di Principe, dell’Agenzia per la coesione territoriale che avrebbe dovuto gestire i fondi Pnrr. Ora, in attesa di un decreto sulla rimodulazione e sui definanziamenti (annunciati anche alla Unione europea), va avanti, pur se con prudenza. Ma poi cosa succederà? Come saranno coperti questi anticipi? E, soprattutto, si troveranno i fondi per tutti i progetti?

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: