giovedì 25 agosto 2011
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Sarebbe come una disputa teologica d’altri tempi, se il rabbino Joseph Weiler non mischiasse il Deuteronomio con tutto l’umorismo ebraico di cui è capace. Si è riso molto, ma la questione resta fondamentale. È proprio il Deuteronomio che divide in alcuni versetti e in altri unisce: “Tu non dovrai ascoltare le parole di quel profeta o di quel sognatore” ma, più avanti, “Il Signore tuo Dio – è sempre Mosè che parla – susciterà per te, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli, un profeta pari a me; a lui darete ascolto”. Questa è la terza volta di Weiler al Meeting, lo “fronteggia” (e il termine non è azzardato) don Ignacio Carbajosa, teologo della Facoltà San Damaso di Madrid. Il Meeting di Rimini da diversi anni offre un’occasione di dialogo. I termini sono chiari dall’inizio: «Non è il tentativo di andare d’accordo – dice don Stefano Alberto, teologo alla Cattolica di Milano – o di un facile ecumenismo, fatto di sentimentalismo e malintesa bontà». Infatti i “duellanti” non si risparmiano colpi, così che lo stesso moderatore, alla fine, potrà tirare le somme: «Non abbiamo voluto nascondere le notevoli differenze, addirittura le contrapposizioni. Ma abbiamo vissuto una profonda e misteriosa unità di un disegno che non è il nostro».Noi crediamo in quel Profeta di cui parla il Deuteronomio, sostiene il teologo madrileno, perché la «sua vera caratteristica è di parlare con Dio faccia a faccia, mentre Mosè non ne vede mai il volto, e diventerà mediatore di una Alleanza diversa da quella che Mosè poteva portare dal Sinai». Il teologo Carbajosa dall’Antico Testamento si spinge fino a Origene e agli Evangelisti. La sua esegesi dei testi è anche una professione di fede. Cerca sempre la stessa Promessa: “Mentre ancora starai parlando, io ti dirò: eccomi”, dice il greco di Alessandria e, nel Vangelo di Matteo è detto: “Egli stava ancora parlando quando una nuvola luminosa li avvolse con la sua ombra. Ed ecco una voce che diceva: Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo”.  Cita anche Geremia e la sua Alleanza nuova. Mosè aveva dato la legge, mediando tra Dio e Israele; Gesù, invece offre quella nuova, rivolta a tutti popoli: “Verranno i giorni – si legge in Geremia – nei quali con la casa di Israele e con la casa di Giuda io concluderò una nuova alleanza”. Anche Weiler fa professione di fede, una professione “testarda”, perché dice bonario: «Noi ebrei siamo testardi». Ricorda le distanze: «Per voi è l’Antico Testamento, per noi è il vero. Voi dite di un Nuovo Testamento, noi diciamo che ne esiste solo uno». «Con l’Alleanza, quella di Mosè, la sola Alleanza, – dice il professor Weiler – Dio non vuole imporre obblighi, cerca un interlocutore sovrano che può anche rispondere di no, ma è solo tramite l’Alleanza che può dire sì. Dio ha bisogno dell’uomo, come l’uomo ha bisogno di Dio». L’Alleanza è per sempre, ed è fatta non con quell’uomo, ma con tutta l’umanità. Vi pareva che tra i Testamenti non ci finisse anche Berlusconi? All’umorismo ebraico è concesso: «Supponete che Berlusconi faccia un accordo con uno Stato estero. Se cade il suo governo. Nessun cittadino potrà dire: e no, mi dispiace, ma queste cose le aveva fatte Berlusconi». Il pubblico che riempie la sala ride. Ma Weiler fa terribilmente sul serio. Quell’Alleanza fatta da Mosè è destinata a durare per sempre? Grosso problema per la teologia. Nessun problema per gli ebrei. Durerà fino alla fine del mondo? O per mille generazioni? Weiler fa un po’ di conti: «Ne sono passate duecento. Fra altre ottocento generazioni possiamo pensare alla nostra unità». Ha voluto dire che non sarà mai possibile. Weiler si sofferma sul decalogo e spiega la differenza, nella fede ebraica, tra legge morale e legge rituale. Il non uccidere, oppure il divieto di mangiare cibi proibiti: «Sono la nostra possibilità – spiega – di sentire la presenza di Dio nella vita quotidiana. Non hanno un valore intrinseco le proibizione di determinati cibi, ma mi dicono che devo pensare a un Dio presente». Questa Alleanza è dunque rivolta a un piccolo popolo, quello di Israele, perché ne faccia testimonianza di fronte al mondo. Dice che le sue figlie sono state ospiti a Madrid in una comunità di Memores Domini. La confidenza gli serve per fare un esempio: «Dio non ha chiesto a tutti di farsi Memores, ma chiede ad alcuni la loro testimonianza». L’unità fra altre ottocento generazioni. La settimana prossima è il suo compleanno. Ne compie sessanta. Il Meeting, a sorpresa, gli fa trovare una torta. “Happy birthday to you”: cantano tutti, anche Wael Farouq, musulmano, che si unisce al coro gioioso e un po’ stonato intonato da cattolici ed ebrei.
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