mercoledì 22 dicembre 2021
Una catena solidale è partita da un medico vicentino, ha coinvolto le aziende locali ed è arrivata in Africa. Attraverso raccolte di fondi e prodeotti agricoli, si moltiplicano i donatori
Quando le cipolle fanno bene alla solidarietà

Quando le cipolle fanno bene alla solidarietà - Collaboratori

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Una catena solidale che da Cologna Veneta, in provincia di Verona, arriva fino a Taza, 335 chilometri a sud di Addis Abeba, in Etiopia. Un progetto che coinvolge le aziende italiane e passa per un vasetto di cipolle.
Il primo anello della catena è Paola Colussi, medico vicentino in pensione che dal 2004 collabora con il gruppo missionario delle Ancelle dei poveri.

La sua associazione "Un’Isola per gli altri" aiuta le religiose nelle loro missioni in tutto il mondo, molte delle quali si trovano in Etiopia. Una di queste è a Taza e accoglie i bambini orfani. «Noi ogni anno inviamo lì circa 10mila euro, raccolti tra donazioni e mercatini – racconta Colussi –. Con il ricavato dei cesti natalizi siamo arrivati a 1500 euro, che serviranno per aggiustare la pompa dell’acqua dell’orfanotrofio».

In Etiopia, quanto un bambino è orfano, c’è la credenza che porti sfortuna darlo a balia a un’altra donna, così viene lasciato morire. Per evitarlo il centro accudisce una ventina di bimbi dalle prime settimane di vita fino ai due anni, per poi reinserirli nella famiglia d’origine.

Colussi ha un’amica che la aiuta a raccogliere fondi, Luciana Frugani che lavora nell’azienda "In Konserva" insieme al fratello Giuseppe. Loro sono il secondo anello della catena solidale. L’azienda si occupa di trasformare gli ortaggi in prodotti sottolio o aceto, facendo attenzione ai propri fornitori: oltre ad avere verdure coltivate in modo sostenibile, devono essere a chilometro zero. «Ho deciso di fare una mano a questo progetto – racconta l’imprenditore –. Lo conoscevo già grazie a Luciana e ho capito di poter fare qualcosa».

Il qualcosa è stato parlare a sua volta del progetto a un proprio fornitore, che ha subito accettato di donare parte del raccolto. Ecco allora un centinaio di chili di cipolle bianche semi lavorate. Frugani ha preparato le miscele di aceti da usare, dato gli spazi e il laboratorio per poter lavorare il prodotto e ho pastorizzato i vasetti. «Abbiamo fatto circa 160 vasetti – spiega lui – ma l’anno prossimo inizieremo prima e vogliamo arrivare almeno a 250 e coinvolgere altre aziende».

L’azienda che invece ha già risposto e promette di replicare anche il prossimo Natale è un altro gruppo veronese, la Plafoni. Sara Pandolfo lavora qui e dice di non aver mai avuto dubbi sulla donazione. «Abbiamo pelato a mano tutte le cipolle perché mantenessero le loro caratteristiche nutrizionali, ma il nostro contributo è stato minimo di fronte allo scopo del progetto».

L’azienda è attiva sul territorio da cinquant’anni e da quattordici ha deciso di specializzarsi solo nella produzione di cipolle. Ha sottoscritto una carta dei valori che la porta a investire ogni anno fra il 20 e il 25% del fatturato in innovazione tecnologica. Pandolfo è sicura della scelta solidale fatta perché sono proprio «i piccoli gesti a contare di più, noi abbiamo dato il nostro contributo, ma davvero non c’era neanche bisogno di pensarci: la risposta poteva solo essere sì».

«Molte persone che conosco, imprenditori o semplici cittadini si sono mobilitati per aiutarci – racconta Colussi –: un amico vigile, per esempio, ha costruito i taglieri con legno di recupero, un’amica ha fatto il pan biscotto e poi il vasetto con le cipolle donate». Quest’anno le donazioni hanno permesso di comprare un ecografo per il centro. L’ordine religioso infatti ha anche fondato un centro per la malnutrizione, uno per la salute, una casa per la formazione di donne e bambini, qui si curano anche tubercolosi e malattie infettive e si fanno piccole operazioni chirurgiche. È il contagio del bene che, alla fine, ha vinto.

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