sabato 17 novembre 2018
Il Vaticano nega richieste di soldi ai gestori, ma vuole trasparenza. L'ipogeo gestito da una cooperativa di ragazzi del Rione Sanità, però, è l'unico a sfuggire alle regole richieste ad altri
Catacombe di San Gennaro, la Santa Sede: mai chiesto arretrati
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La vicenda delle catacombe di San Gennaro, a Napoli, si illumina nuova e ben diversa luce. Ieri infatti Tv2000 ha prodotto un documento inedito della Pontificia Commissione di Archeologia sacra, datato al marzo scorso, in cui non solo non si chiedevano soldi agli attuali gestori del luogo sacro, ma all’opposto si manifestava la disponibilità ad «azzerare il debito pregresso».

La polemica era nata nei giorni scorsi su alcuni organi di stampa dalla presunta richiesta di 700.000 euro di arretrati alla cooperativa «La Paranza», che (dietro regolare concessione dell’arcidiocesi di Napoli) dal 2009 impiega nella custodia e manutenzione delle catacombe una cinquantina di ragazzi strappati alla strada nel Rione Sanità. I ragazzi erano molto allarmati dall’ipotesi di dover versare tale somma, ipotesi che sarebbe scaturita da un incontro tra il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente della suddetta Commissione, e l’arcivescovo di Napoli cardinale Crescenzio Sepe.

Ora la lettera pubblicata in esclusiva da Tg2000 e datata 9 marzo 2018 (dunque molti mesi prima che scoppiasse il caso mediatico) attesta invece ben altro: la Commissione della Santa Sede infatti rinuncia a chiedere alla cooperativa – che ha riqualificato un luogo abbandonato, trasformandolo in meta turistica per 100mila visitatori l’anno – qualunque somma arretrata e manifesta la volontà di avviare una nuova fase di collaborazione su una base di trasparenza e legalità.

La richiesta di denaro (esattamente il 50% degli introiti) vale semmai per il futuro e si basa sulle regole del concordato tra Italia e Vaticano, dove si stabilisce che sia la Santa Sede ad occuparsi della gestione di tutte le catacombe presenti sul territorio nazionale (circa 120, di cui una ventina aperte al pubblico). È dunque per far fronte alle spese di tutela, conservazione, restauro e recupero di tali strutture – per le quali non esiste contributo governativo – che la Commissione di Archeologia sacra chiede alle catacombe visitabili metà degli incassi; e finora solo quella di Napoli non aveva mai corrisposto nulla, anzi non aveva nemmeno mai inviato in Vaticano alcun rendiconto dettagliato dei suoi bilanci.

Ora si vuole cambiare registro: senza disconoscere l’opera di grande rilievo sociale compiuta da «La Paranza», occorre rivedere i metodi di gestione compiuta finora in totale autonomia, emettendo biglietti in proprio e non fornendo bilanci, per rilanciare l’attività su una base nuova di trasparenza e legalità. E senza creare disparità di trattamento con le altre catacombe aperte al pubblico e gestite da altri soggetti, che hanno sempre rispettato gli accordi con la Commissione anche in zone problematiche come Palermo, Siracusa o Tor Pignattara a Roma.

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