domenica 6 giugno 2021
Nadia Bouzekri: c’è un’arretratezza culturale di fondo che non c’entra con l’islam. Sì a centri d’ascolto per ragazze musulmane, ma serve un’intesa con lo Stato
Nadia Bouzekri, vicepresidente dell'Ucoii

Nadia Bouzekri, vicepresidente dell'Ucoii

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«Mi sembra inconcepibile quanto successo. Una famiglia non può decidere in nome e per conto di una figlia che desidera costruirsi la sua vita». Nadia Bouzekri ha 28 anni ed è la prima vicepresidente donna dell’Ucoii, l’Unione delle comunità islamiche italiane. Parla della vicenda di Saman Abbas, la ragazza di origine pachistana scomparsa nelle campagne reggiane, al termine di una settimana in cui l’Ucoii non ha avuto paura nel proporre una «fatwa» sul tema delle nozze combinate. Nel parere religioso emanato il 3 giugno, si scrive chiaramente che «il matrimonio è una relazione di vita fondamentale tra due parti, uomo e donna, che si legano con una prospettiva duratura e che ha come essenza l’esigenza e l’accettazione dei coniugi. Una relazione che – si sottolinea – non può che basarsi su un consenso libero e volontario, senza coercizione o costrizione ». Parole chiare che, secondo Nadia Bouzekri, «valgono sia per i ragazzi che per i genitori. Non si può strumentalizzare la religione e cambiarla a proprio piacimento».

Da giovane donna e da rappresentante del mondo musulmano, come ha reagito alla notizia?

Ripeto: per me si è trattato di una cosa davvero inconcepibile. Saman aveva denunciato il contesto in cui viveva, era stata posta anche in comunità e poi era tornata a casa. Sono tanti i problemi che si riscontrano in casi come questi ed è difficile intercettarli, per via di un’arretratezza culturale di fondo che non c’entra niente con l’islam: c’è un substrato fatto di silenzi, omissioni, imposizioni patriarcali che domina su tutto. Già nel 2013, le associazioni islamiche in Europa avevano lanciato una campagna di sensibilizzazione contro i matrimoni forzati. In Italia abbiamo fatto corsi di formazione, ad esempio contro l’infibulazione femminile, a Brescia, Reggio Emilia, Milano. Eppure, tutto questo non è bastato.

Il vostro è sembrato un messaggio diretto non solo alla società italiana, ma anche ad altre sigle del mondo musulmano. Non è così?

La comunità dei musulmani in Italia è plurale, è normale che ci siano più sigle. In questi anni abbiamo compiuto dei passi verso il riconoscimento della nostra comunità, ma servirebbe un’intesa con lo Stato, che ci permetterebbe di avere più strumenti per intervenire in casi come quello di Saman.

In che modo?

Si potrebbe pensare a percorsi formativi nelle scuole, andrebbero creati dei centri d’ascolto in cui le ragazze musulmane possano denunciare eventuali violenze e riescano a farsi sentire. È come quando in Italia c’era il delitto d’onore. Per combattere questo fenomeno, bisognerebbe andare a scardinare le chiusure di tante persone, fornendo più strumenti ai giovani per intercettare prima vicende del genere. Abbiamo preparato gli imam sui temi dell’educazione civica e della cittadinanza e mai, dico mai, siamo venuti a conoscenza di esempi di matrimoni combinati.

Più in generale, a che punto siamo nella valorizzazione della donna dentro il mondo islamico?

Come ragazze musulmane, ce lo diciamo spesso, dobbiamo essere più attive. Dentro e fuori le nostre comunità. In generale, credo ci sia voglia di protagonismo femminile anche dentro l’islam. Come Ucoii, abbiamo fatto un lavoro intenso ma siamo una comunità giovane: c’è ancora molto da fare.

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