giovedì 29 novembre 2018
La prossima settimana gli avvisi di garanzia. Manconi (Unar): silenzio assoluto del premier Conte. Salvini: non governo in Egitto. Ma Fico interrompe rapporti tra Camera e Parlamento egiziano
Una fiaccolata a Roma per chiedere la verità sull'omicidio di Giulio Regeni

Una fiaccolata a Roma per chiedere la verità sull'omicidio di Giulio Regeni

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Svolta nel caso Giulio Regeni. Sette agenti, appartenenti ai servizi segreti egiziani, finiranno nel registro degli indagati nell'ambito dell'indagine delle Procura di Roma sulla morte del giovane ricercatore friulano. Nei loro confronti i pm contestano per ora il reato di sequestro di persona. L'iscrizione formale verrà fatta dal pm Sergio Colaiocco nei primi giorni della prossima settimana. Il coinvolgimento dei sette è legato anche all'analisi dei tabulati telefonici da cui risulta che il 28enne italiano era pedinato e controllato almeno fino al 25 gennaio del 2016, giorno della sua scomparsa. I risultati dell'attività di indagine svolta da Ros e Sco sono noti alle autorità egiziane da almeno un anno in quanto presenti nella informativa messa a disposizione nel dicembre dello scorso anno dalla magistratura romana.

Un successo dal fronte giudiziario che arriva nel pieno della polemica sull'azione politica del governo. Luigi Manconi, coordinatore dell'UNAR e nella scorsa legislatura presidente della commissione Dirirtti umani del Senato, denuncia il «fallimento della via diplomatica» fra Italia ed Egtto, parlando di «silenzio assoluto del governo Conte dopo l'Inerzia del governo Gentiloni». «Governo e Parlamento stanno facendo il massimo - è la replica del vicepremier Matteo Salvini - e poi governiamo in Italia e non in Egitto». Ma alla conferenza dei capigruppo, il presidente della Camera Roberto Fico annuncia la decisione di interrompere i rapporti parlamentari con l'Egitto, fino a quando non si arriverà ad una svolta nelle indagini sulla morte del ricercatore Giulio Regeni. Tutti i gruppi parlamentari hanno aderito alla proposta. «Non ho parlato con Fico - commenta il premier Conte - e non so per quale ragione ha deciso».


La volontà di imprimere un’accelerazione al fascicolo aperto quasi tre anni fa è stata comunicata al Cairo da una delegazione guidata dal sostituto procuratore Sergio Colaiocco nel corso del decimo vertice con gli omologhi nordafricani, responsabili e alte personalità incaricate di svelare l’enigma dell’uccisione dello studente italiano. Si tratta di un atto che rappresenta un passaggio formale e necessario in base al nostro ordinamento (a differenza di quello in vigore in Egitto) e dunque non deve essere interpretato come uno "strappo": la collaborazione fra le due Procure proseguirà come sempre nei prossimi mesi.

I due giorni di incontri bilaterali sono serviti inoltre a ribadire la decisa volontà italiana di individuare i colpevoli della tortura e dell’omicidio del ventottenne di origine friulana. La nostra delegazione ha depositato gli esiti degli approfondimenti investigativi svolti sulle attività condotte da Regeni nell’ambito del suo dottorato di ricerca, mentre la squadra investigativa egiziana ha presentato gli esiti degli accertamenti tecnici condotti sulle registrazioni delle telecamere di videosorveglianza della metropolitana del Cairo del 25 gennaio 2016, e in particolare ha riferito sulle ragioni delle mancate registrazioni di quella sera: i "buchi" sarebbero dovuti a una sovrascrittura e per questo non è stato possibile individuare alcuna immagine di Regeni. Il sostituto Colaiocco è ripartito ieri per Roma, ma una nota congiunta ribadisce che gli incontri tra gli inquirenti delle due nazioni continueranno «fino a quando non si arriverà a risultati definitivi».

Duro il giudizio di Luigi Manconi sul ruolo del governo italiano: «Allo stato attuale delle cose, la vicenda Regeni registra il fallimento della via diplomatica fra i due Paesi. Nessuno spazio alla cooperazione. Nessun risultato condiviso», dichiara al Corriere della Sera, l'ex presidente della Commissione parlamentare per i diritti umani. «Solo due anni dopo l'avvio delle indagini l'Egitto ha consegnato ai pm italiani i nastri delle telecamere della stazione della metropolitana in cui Giulio Regeni è stato visto l'ultima volta - afferma Luigi Manconi - e laddove avrebbero dovuto ritrarre volti di persone c'erano buchi vistosi e non ricostruibili. Questo è il segnale di quanto esile e contraddittorio fosse il rapporto con la procura egiziana». Manconi critica i quattro incontri col ministro dell'Interno egiziano: «Due del premier Conte, uno di Salvini e uno di Di Maio. Una cosa senza precedenti, non è più amicizia, è promiscuità». E il ritorno in Egitto dell'ambasciatore italiano, in un primo momento richiamato a Roma dal governo Renzi, da Manconi viene giudicato «dannoso: l'Italia ha rinunciato all'unico mezzo di pressione». «Sul caso Regeni - è la replica del ministro dell'Interno Matteo Salvini - credo che il governo, con tutti i suoi esponenti e il Parlamento, con tutti i suoi esponenti di maggioranza e opposizione, stiano facendo il massimo. Poi purtroppo governiamo in Italia e non in Egitto».








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